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Questo articolo è stato pubblicato il 17 aprile 2013 alle ore 10:39.

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INTERVISTATORE
Che consigli o ordini di recitazione le dava Carmelo Bene?
MORANTE
Io non avevo intenzione di fare l'attrice ma ero interessata. Lui mi diceva: «Ricordati che sei una principiante, talentata, ma principiante». Riteneva che io avessi un certo talento, era fiero di averlo scoperto perché lui aveva fatto una specie di scommessa, quasi più per ridere. Poi però gli piaceva come io stavo in scena. Mi ricordo che mi diceva: «Tu non sporchi mai la scena». Avere un senso musicale dello stare in scena: non ti muovi quando non devi, non ti disturbi, in questo senso. Penso che volesse dire che avevo un senso della presenza scenica, nel rispetto di quello che era il disegno della regia. Perché ci sono attori... È una frase che non ho mai del tutto capito però in realtà poi me ne sono in qualche modo riappropriata per giudicare il lavoro dei miei colleghi. Effettivamente ci sono colleghi... tu lavori con loro e hai la sensazione, è come dare la spinta all'altalena nel momento sbagliato... per cui invece di prendere slancio la freni. Ci sono persone che non hanno questo senso musicale per cui rendono la recitazione più faticosa, lavorare con loro è più faticoso. Ci sono persone invece che hanno un senso musicale molto spiccato. Lavorare con Carlo Verdone o con Silvio Orlando, per dire, sono due attori con i quali tutto sale di un gradino sempre perché hanno un fortissimo senso musicale. Allora io non so, non credo di aver avuto quella cosa, però lui probabilmente vedeva un dono, nel senso che magari recepivo meglio di altri principianti questo senso della scena e del rispetto della partitura.

INTERVISTATORE
Quando poi recentemente ha fatto la regista questa cosa le è tornata in mente per dirigere gli attori?
MORANTE
Io penso che tutto quello che ho vissuto nella mia vita, e non soltanto nella mia vita professionale, comunque tutto è sempre lì. Poi le cose tornano a galla anche senza che tu ne sia consapevole: non necessariamente tu sai di che cosa ti servi nel momento in cui fai qualcosa, magari te ne servi senza esserne minimamente cosciente. Io come attrice mi ricordo lo shock quando vidi per la prima volta La stanza del figlio (4). In una delle scene quando siamo a tavola e io parlo di mio figlio, nel film, che è morto, in
quella scena quando mi vidi dissi: «Oddio sembro mia madre». Ho riconosciuto mia madre, la sua gestualità. Mia madre il periodo in cui stava male s'imbottiva di tranquillanti. Ho riconosciuto proprio lei, però io non l'ho fatto intenzionalmente, l'ho fatto inconsapevolmente. Evidentemente questa cosa mi aveva segnata e quindi è riemersa così. Quindi penso che anche gli insegnamenti... se un giorno, come spero, mi capitasse di fare una regia d'opera ad esempio forse lì più consapevolmente magari utilizzerei e cercherei di mettere in atto qualcuno degli insegnamenti. Quello che si utilizza intenzionalmente non è mai la cosa più interessante perché c'è bisogno di tutto un processo affinché le cose diventino tue. Un processo di decantazione, di cristallizzazione, quindi un processo chimico per cui ad un certo punto quelle cose che hanno abitato la tua vita diventano effettivamente tue.

INTERVISTATORE
Stavo vedendo uno spezzone di un suo film francese che non avevo visto... su Molière (5), non ho neanche capito su cos'era, ma c'è una scena in cui il tipo capellone porta la lettera...
MORANTE
Molière...

INTERVISTATORE
Ah quello era Molière? Ah non avevo capito, era la vita di Molière?
MORANTE
Sì, diciamo di sì...

INTERVISTATORE
E quindi c'è il suo imbarazzo quando va a guardarsi allo specchio. Quando le danno un personaggio del genere, lei cosa va a cercare?
MORANTE
In quel caso ero molto felice, è un personaggio molto divertente da recitare, quindi ero molto felice come sono sempre io quando mi propongono qualcosa di bello, quasi un po' incredula perché non avendo un carattere ottimista ogni volta mi sorprendono le cose belle... a parte questo avevo una paura terribile perché dovevo parlare, benché io parli bene il francese, ma recitare con dei ritmi da commedia in francese, con un francese non contemporaneo, una sorta di pastiche scritto sulla falsa riga del francese seicentesco. Mi metteva un po' d'ansia la preparazione... Io forse anche lì sbaglio ma non sono molto Actor Studio come formazione, cioè in pratica non ho formazione, quindi non so mai bene come mi preparo. Io ho sempre preferito, ogni volta che mi chiedono come lavoro, fare degli esempi musicali, perché per me più che psicologico il lavoro dell'attore è musicale: io leggo un po', cerco di leggere un copione come immagino che un musicista legga la partitura. Dopo di che, una volta che sei lì sul set o in scena c'è un direttore d'orchestra, ci sono gli altri orchestrali, i musicisti, c'è la partitura e poi c'è il tuo personale talento. Però fondamentalmente è questo che m'interessa, l'approccio musicale. Non ho mai creduto che esistano dei personaggi. Esistono dei personaggi in un particolare progetto, cioè una donna lasciata dal marito in un film di Muccino, di Moretti, di Verdone, di Scorsese: sono donne diverse persino se la storia è la stessa. Quindi non ha senso per me parlare di personaggi, ha senso parlare di un progetto e per me si deve avere, credo... Dovrebbe essere quello di un musicista: ti leggi e ti studi bene la partitura, la guardi, ovviamente sai che non sei solo, che ci sarà un direttore d'orchestra, che ci saranno i tuoi compagni di lavoro che non dovrai né sopraffare né ignorare e quindi... per me è questo recitare.

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