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Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2013 alle ore 10:35.

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La riflessione ulteriore è su quali implicazioni possa avere questo nuovo ruolo di osservatori sul piano dei giudizi etici: tra osservare, capire e giudicare, siamo abituati finora a concentrarci soprattutto sulla terza attività, spesso a scapito della altre due, e internet sembra spingerci ancora di più in questa direzione, come se fossimo sempre più disposti a sacrificare la comprensione delle cose, ma non l'opinione da esprimere. Osserviamo molto, rinunciamo a capire, giudichiamo moltissimo. Ma siamo già oltre il tema dei Big Data.

I due autori del libro il tema invece lo affrontano molto puntualmente e laicamente, ponendosi in modo equilibrato nei confronti della vivace e ormai antica polemica tra i sostenitori radicali del meraviglioso mondo nuovo creato da internet e i critici di tali eccessi tentati da simmetrici estremismi luddisti. La polemica è diventata da tempo abbastanza noiosa, perché governata da simmetriche macchiette che raramente implicano verità più complesse e articolate. E quindi saggiamente non si espongono su allarmi o indulgenze nei confronti di cosa significherà lo sfruttamento di tutte queste enormi moli di dati per le nostre vite non solo in termini di servizi benefici e promettenti come quelli citati, ma anche in termini di rischi non solo sulla privacy, ma in generale sullo snaturamento di modelli di vita il cui cambiamento sta avvenendo in modi acceleratissimi.

Un'altra perplessità è stata invece affrontata come centrale in un'interessante recensione al libro pubblicata dal Financial Times, che cita due dei più seguiti "stai alla larga da" da internet, Jaron Lanier ed Evgeny Morozov, un tempo qualificato critico di certi rischi digitali, oggi divenuto una specie di "professionista dell'anti internet", come direbbe Sciascia: Morozov ha appena pubblicato un nuovo libro, To Save Everything, Click Here: Technology, Solutionism, and the Urge to Fix Problems that Don't Exist e segue quello del 2011 che aveva l'ancora più definitivo titolo di The Net Delusion. In questo, Morozov critica e irride con l'efficacia dialettica che non gli manca l'inclinazione dei presunti profeti della Rete a ritenere che la Rete offra soluzioni a ogni cosa e a trascurare le controindicazioni. I suoi argomenti sono validi e interessanti, ma spesso gravati di quello che gli americani chiamano straw man argument: la tendenza ad attribuire agli interlocutori o avversari polemici posizioni eccessive che non hanno, per demolirle più facilmente.

Mentre soprattutto Lanier – che anche lui ha da poco pubblicato il suo libro Who Owns the Future? – teme gli effetti antidemocratici e peggiorativi delle vite delle maggioranze delle rivoluzioni digitali, ed esprime dubbi sull'affidabilità delle indicazioni ottenute dalle analisi sui big data, citando esempi di possibili fallimenti e conseguenze. E voi stessi, leggendolo, vi sarete domandati: il 75 per cento dei risultati più convenienti indovinati, sui biglietti aerei, è una garanzia o una fregatura?
Perché è vero che l'osservazione di cosa succede sta diventando prevalente sulle ricerche di comprensione delle ragioni per cui succede (il cosa contro il perché): però quel "cosa" bisogna osservarlo giusto.

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