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Questo articolo è stato pubblicato il 16 maggio 2013 alle ore 08:18.

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INTERVISTATORE
E chi firmava il pezzo?

VALLI
I pezzi non li firmava nessuno. In un giornale firmavano venti persone, Il Giorno aumentò un po' le firme ma era rarissimo firmare. Quindi si imparava a scrivere il fatto, l'aggettivazione, la semplicità della scrittura e soprattutto le solite domande del cronista, quindi le cose più banali venivano spesso riscritte e venivano fatte riscrivere.

INTERVISTATORE
Quali erano le regole più importanti?

VALLI
Be' ovviamente quello che era importante era l'attacco del pezzo che doveva agganciare il lettore immediatamente... con l'informazione: non c'era nessuno svolazzo, il racconto era nudo.

INTERVISTATORE
Il fatto di occuparsi di cronaca le creava dei problemi?

VALLI
Ne ero affascinato e mi è sempre rimasta dentro. Io avevo allora delle ambizioni diciamo letterarie, ma combaciavano benissimo con quello che era il lavoro, mi piaceva moltissimo il lavoro del racconto, che quando c'era un delitto uno lo seguiva, andava a casa dell'assassinato o dell'assassino e conduceva a suo modo l'inchiesta in parallelo con la polizia, anche se erano cose spesso banalissime. Quella è stata una cosa estremamente importante che non ho mai dimenticato. Era un giornale nuovo, lì la scrittura era importante, Il Giorno nasceva come giornale che voleva essere ed è stato moderno: ha eliminato la terza pagina (anche se poi fece un rotocalco...). Era tutta notizia, avevano messo le notizie, non mettevano più i grandi racconti. Il Giorno era un giornale moderno, anche nell'impaginazione, mentre gli inviati del Corriere avevano un loro passo molto personale che poteva anche essere stravagante... da ragazzo leggevo Cesco Tomaselli (3), con il quale poi ho lavorato, che andava in Marocco per non so che cosa e raccontava come faceva le valige... Al Giorno no, ci doveva essere subito la notizia e l'ultima notizia in testa... E c'era uno stile nella scrittura contro il montanellismo perché era una forma di... il montanellismo era il racconto più rilassato, più fantasioso, immaginifico e anche efficace, ma invece al Giorno si voleva evitare questa cosa, volevano essere anglosassoni.

INTERVISTATORE
Come divenne reporter?

VALLI
Dopo sette mesi entrò in stanza Baldacci [il direttore], e siamo nel 1957 più o meno, e mi disse: «Lei va in Venezuela» e allora io cercai subito dov'è il Venezuela e come ci si andava.

INTERVISTATORE
E come? In nave? In aereo?

VALLI
C'erano gli aerei – a pistoni. Non mi ricordo più se si andava… Per il Venezuela, per Caracas… l'Alitalia andava all'Isola del Sale, la Klm faceva Lisbona…

INTERVISTATORE
E che andò a fare?

VALLI
C'era un colpo di Stato contro Pérez Jiménez, il dittatore era scappato e gli italiani avevano partecipato alla difesa, erano stati un po' la base del dittatore e quindi venivano aggrediti per la strada: venivano riconosciuti perché non avevano il risvolto ai pantaloni. (Io da allora li ho sempre portati col risvolto…) E quindi quello fu il primo grande servizio che dettai per telefono. Rimasi almeno venti giorni, poi andai a Santo Domingo perché vi si era rifugiato Perón (4)e il dittatore Pérez Jiménez che era scappato con i soldi a Santo Domingo, che allora si chiamava Ciudad Trujillo, perché il dittatore della Repubblica Domenicana era Trujillo, e quindi c'erano i tre dittatori che vivevano insieme a Santo Domingo. Lì intervistai Perón, che poi lui voleva rientrare in Argentina e quindi andai in Argentina, rimasi in America Latina. Allora gli inviati giravano per Corriere, Stampa e Giorno... Messaggero e qualche volta il Tempo... Insomma direi che erano quattro, cinque giornalisti. Egisto Corradi (5) per esempio, che è stato uno dei grandi inviati del Corriere sui fatti di cronaca e di guerra faceva il delitto, il processo e poi partiva per fare invece l'Ungheria. Io ho fatto la mafia, Agrigento, il delitto Tandoj nel 1960, il primo delitto contro un commissario, e dopo partii e andai a fare l'apartheid nell'Unione Sudafricana, e dopo di lì il Congo dove sono rimasto mesi per l'indipendenza del Congo, quello è durato due anni almeno...

INTERVISTATORE
L'intervista con Perón fu la sua prima intervista seria e impegnativa?

VALLI
Ne feci un'altra subito dopo molto più importante, perché in Venezuela c'era un ambasciatore che si chiamava Giusti Del Giardino, che era stato uno dei giovani diplomatici dell'epoca del fascismo e poi però era stato antifascista e uno degli epuratori del ministero degli Esteri durante la liberazione... Era ambasciatore lì e come ambasciatore fu attaccato perché gli italiani erano responsabili dell'affare Pérez Jiménez e quindi i giornali venezuelani uscivano con «L'ambasciatore d'Italia ha ucciso cinquecento venezuelani» (che non era vero). Comunque la cosa rimbalzò in Italia, andò in Parlamento dove vi furono molte discussioni. In Venezuela l'attacco agli italiani fu un grande fatto allora. Io però attaccai l'ambasciatore d'Italia perché in effetti non era stato a mio avviso abbastanza neutrale di fronte al problema di Pérez Jiménez. C'era una banda di fascisti, erano gli italiani di Etiopia...

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