Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2013 alle ore 08:48.

My24
Bob Dylan (Ap)Bob Dylan (Ap)

Masters of War
Altro classico imprescindibile del Menestrello. «Masters of War» suona come una tonante invettiva contro l'industria bellica: «perfino Gesù non perdonerebbe quello che fate». Fu scritta durante il soggiorno a Londra della fine del '62. La melodia ricorda parecchio l'arrangiamento che Jean Ritchie, cantautrice folk americana e suonatrice di dulcimer, aveva fatto del brano tradizionale inglese «Nottamun Town». Ne nascerà una contesa, conclusasi con il pagamento di un assegno di cinquemila dollari alla signora.

Down the Highway
Il titolo provvisorio di «Freewheelin'», fino alla fine del '62, era «Bob Dylan's Blues». E non è un caso: abbondano i pezzi che insistono sul solco della tradizione nera. Ne è un esempio «Down the Highway», blues autobiografico che – stavolta esplicitamente – fa riferimento al soggiorno dell'amata Suze Rotolo in quel di Perugia: «La mia bambina mi ha portato via il cuore/ se l'è messo in valigia/ Signore, se l'è portato in Italia».

Bob Dylan's Blues
Doveva essere la title track dell'album, finì per giocare un ruolo piuttosto marginale in un album ricco di perle. Intro parlato che sbeffeggia l'industria delle canzonette di Tin Pan Alley, testo in punta di penna tra riferimenti al Cavaliere Solitario e macchine sportive di cui il nostro non sente alcun bisogno: «Posso farmi una passeggiata intorno all'isolato ogni tanto». Esercizio di scrittura ironica.

A Hard Rain's A-Gonna Fall
Testo ermetico e visionario che mette a fuoco istantanee di un mondo devastato dalla guerra atomica. Anche se Zimmy ha più volte negato la circostanza, la vulgata vuole che il brano sia stato ispirato dalla crisi missilistica dell'ottobre '62 tra Usa e Urss: la «Hard Rain» in questione altro non sarebbe che una pioggia nucleare, successiva alla distruzione del mondo. Pezzo di rara bellezza: semplice nella struttura armonica, complesso nelle liriche. Pensate all'effetto che faceva sentirlo cantare da un magro ragazzino di provincia, nella solennità della Carnegie Hall.

Don't Think Twice It's All Right
Se non è la più bella canzone d'amore di Dylan, poco ci manca. Se non è la più bella canzone d'amore di Dylan, è tra le canzoni più belle che siano mai state scritte sulla fine dell'amore: «Non sto dicendo/ che mi hai trattato male/ avresti potuto fare meglio/ ma non mi dispiace/ hai solo sprecato il mio tempo prezioso/ ma non credere che vada bene così». Pare sia stata ispirata dall'idea di Suze Rotolo di stabilirsi definitivamente in Italia, un colpo troppo duro per il cuore di Zimmy. Il modello musicale è «Who's gonna buy you ribbons (when I'm gone)» di Paul Clayton.

Bob Dylan's Dream
Primo tra i pezzi «onirici» del Nostro, fu modellata sul canovaccio dello standard «Lady Franklin's Lament». Nell'originale, la moglie dell'esploratore artico John Franklin, perdutosi alla ricerca del passaggio a Nordovest, sogna di ritrovare il marito vivo. Qui è Zio Bob a sognare di ritrovare «i pochi amici di un tempo» perdutisi nelle disparate circostanze della vita.

Oxford Town
Una satira in musica sulla vicenda di James Meredith, primo studente nero ammesso all'Università del Mississipi (sita per l'appunto a Oxford Town). Quando entrò in campus scoppiò una sommossa e fu necessario l'intervento dell'esercito. Questa è Oxford Town, «non so proprio perché ci siamo venuti/ ma ce ne torniamo da dove siamo partiti».

Talking World War III Blues
I rapper di oggi hanno il free-style, l'arte di improvvisare su una base. I bluesmen di ieri avevano il talking blues, uno stile che consentiva loro di creare versi istantanei sulla sequenza armonica standard della musica nera. Dylan vi si cimenta alla fine delle session di «Freewheelin'» regalandoci vertiginose visioni del conflitto nucleare che, all'inizio degli anni Sessanta, si credeva prossimo venturo. Argomento serissimo, approccio felicemente semi-serio.

Corrina, Corrina
Un classico country blues inciso per la prima volta nel 1928 dai Mississipi Sheiks. Dylan lo re-interpreta come omaggio alla tradizione che lo aveva nutrito. È l'unico pezzo dell'album in cui appare una sezione ritmica basso-batteria.

Honey, just allow me one more chance
Rielaborazione dell'omonimo brano del bluesman Henry Thomas datato 1928. Dylan ne integra il testo, ne velocizza il tempo, vi inserisce l'armonica. Lo fa «proprio», trasformandolo in uno standard del folk moderno.

I Shall Be Free
Il disco si chiude con la rielaborazione di «We Shall Be Free», inno libertario di Leadbelly interpretato, tra gli altri, da mastro Woody Guthrie. Quasi una parodia dell'originale: «Vedrò giorni migliori – canta ironico Dylan - e farò cose migliori/ Andrò a caccia di dinosauri/ Farò l'amore con Elizabeth Taylor/ Le prenderò da Richard Burton». Uno tra i dischi più seri degli anni Sessanta termina insomma con un'imprevista nota di divertita leggerezza. Quasi a dire che nemmeno i profeti hanno il diritto di prendersi troppo sul serio.

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi