Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2013 alle ore 11:23.

My24

Ma il tuo primo giorno di scuola, veramente, nemmeno te lo ricordi, perché non è successo niente di che. Uno ha fatto una battuta ma non ti ricordi chi. Sono tutti ancora indistinti. Di qualcuno ricorderai un gesto, che non avrà niente di simbolico.
Il destino non si cura di conquistarci con un primo giorno di scuola memorabile, ma noi ci fidiamo: rimaniamo a scuola.
Il pilota di The Wire è il primo giorno di scuola com'è andato veramente. Tutte le altre serie sono il primo giorno di scuola romanzato.
Il pilota di The Wire si apre, ancora prima della sigla, con una conversazione abbastanza interessante fra il bianco McNulty e un ragazzino nero sulla scena dell'omicidio di un altro ragazzino nero. I due discutono del soprannome umiliante del morto, e di come è rimasto ucciso. McNulty cerca delle dritte, ma condivide anche il momento triste col ragazzo. Forse lo manipola, vuole portarlo in tribunale a parlare dell'omicidio.
Le battute sono leggere e forti, retoriche in modo realistico:
«Se Snot rubava sempre i soldi a dadi perché lo facevate giocare ancora con voi?».
«Got to. This is America, man». (E a quel punto inquadrano Snot morto sull'asfalto, gli occhi ancora aperti).
Dopo questo inizio che non fa una piega, però, e dopo la sigla, comincia l'inutile primo giorno di scuola. Una serie di scene da cui è veramente impossibile trarre piaceri facili.
McNulty chiacchiera con un collega andando a un processo. Si dicono cose incomprensibili, slang da poliziotti. Poi al processo un teste è chiamato a identificare l'assassino di un altro crimine. Lo indica. L'avvocato della difesa parla. C'è un'atmosfera di tensione che è difficile da condividere perché non si sa chi siano i vari brutti ceffi seduti fra il pubblico a guardar storto il primo teste. Arriva un secondo teste. C'è un nero bello (ora famoso, Idris Elba) che fa dei disegnini su un quaderno; è vestito elegantissimo. Disegna un supereroe che dice «Fuck you, detective», e lo mostra a McNulty. Il nero bello ha un'aria assolutamente legit. La seconda teste sta testimoniando confusamente. La seconda teste, a sorpresa, dice di non riconoscere l'assassino. Ciancica gomma da masticare. Il giudice non crede alle sue orecchie – è stata corrotta.
McNulty si alza, dice al nero bello: «Nicely done», e se ne torna in ufficio. Passando, vede un collega che parla al telefono, arrabbiato, strusciandosi la cornetta sul pacco per offendere l'interlocutore. McNulty gli dice che il processo è andato male. Poi passiamo a una poliziotta in macchina con un'informatrice che a distanza di una trentina di metri osserva gli spacciatori con hoodie che trafficano. Segue il più breve inseguimento della storia. Tre secondi. Pistole puntate, i poliziotti fanno i duri, ma hanno le facce molto preoccupate. Si vede che si muore una volta sola, non si rinasce. Gli spacciatori sono per terra, i poliziotti li ammanettano.
Nessuno dei poliziotti viene "presentato" al pubblico. Sì, si vede già che un paio sono bambacioni mentre la poliziotta dell'appostamento è una dura. Ma non ci sono cose da prima puntata, come uno che guarda una foto della moglie morta per far capire "il tema privato".
Poi si torna in tribunale. L'assassino del processo di prima viene dichiarato innocente. Seguono urla degli amici colleghi gangster. Tutto un tran tran. Il tipo che prima era al telefono dice al nero bello: «Think I give a fuck?» e poi gli dice che prima o poi… Quello, elegantissimo, risponde: «Buona giornata anche a lei». È la loro quotidianità, e a noi ci vogliono parecchi episodi per entrarci. Episodi di un'ora.
Poi, tra le molte altre cose: McNulty viene punito perché ha parlato col giudice dei nuovi protagonisti dello spaccio; il processato dichiarato innocente, D'Angelo, va nel locale del parente boss a ricevere la benedizione con lavata di capo e viene quindi inviato a seguire i ragazzini che spacciano in un cortile nei projects; due tossici fotocopiano banconote false per comprarsi il crack, poi si vanno a fare. Sono tutti personaggi importanti della serie, ma a parte l'idea che McNulty sia cocciuto (è irlandese) e che D'Angelo sia un po' incapace, non abbiamo molti appigli. In più, si parla gergo tecnico pieno di acronimi e slang locale – che se col passare delle puntate diventa un piacere incredibile, poesia e incantamento, all'inizio è solo un muro impenetrabile di parole senza senso.
Si capisce perché molti non riescano a entrare in The Wire.
David Simon, il creatore, un ex reporter, arriva al suo capolavoro da un'altra grande impresa: Homicide, a Year on the Killing Streets, un librone nato per aver chiesto e ottenuto dalla polizia di Baltimora di poter seguire ovunque i poliziotti, dall'ufficio alle missioni, per raccontare senza fronzoli, senza sintesi, senza cliché narrativi, la noia e le accelerazioni e i meccanismi della vita del poliziotto. Ecco, soprattutto senza sintesi.
Pur essendo una specie di Springsteen della vita poliziesca – nel corso della serie, la passione e la retorica si sentono molto, la soddisfazione affettiva è massima e i pianti per la brutta fine di qualche personaggio si sprecano – Simon ha la pazienza e la pazzia di farci conoscere la polizia e il crimine e Baltimora lentissimamente, come a dire: io ci ho messo un anno di nottate sulle volanti, non ve lo faccio il riassunto.
(Per i convertiti: ho scritto un pezzo su The Wire senza parlare di Bunk e di Omar!).

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi