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Questo articolo è stato pubblicato il 01 settembre 2013 alle ore 08:44.

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È molto più facile capire se una cosa è fragile che prevedere il verificarsi di un evento che potrebbe danneggiarla. La fragilità può essere misurata, il rischio non è misurabile (tranne che nei casinò e nella testa di chi si autodefinisce «esperto del rischio»). Ciò costituisce una soluzione a quello che ho chiamato «problema del Cigno nero», vale a dire l'impossibilità di calcolare il rischio che si verifichino eventi rari di grande impatto e di predirne l'occorrenza. È molto più facile gestire la sensibilità ai danni provocati dalla volatilità che prevedere l'evento che potrebbe causare quel danno. Pertanto, la mia proposta è di capovolgere completamente il nostro attuale approccio alla previsione, ai pronostici e alla gestione del rischio.
In ogni ambito o area di applicazione, propongo regole per spostarsi dal fragile all'antifragile, o riducendo la fragilità, o sfruttando l'antifragilità. Tra l'altro, individuare l'antifragilità (e la fragilità) è quasi sempre possibile, utilizzando un semplice test di asimmetria: qualunque cosa tragga più vantaggi che svantaggi dagli eventi casuali (o da alcuni shock) è antifragile; in caso contrario, è fragile.
Il punto è che se l'antifragilità contraddistingue tutti i sistemi naturali (e complessi) che sono sopravvissuti, privarli della volatilità, della casualità e dei fattori di stress potrà solo danneggiarli: si indeboliranno e andranno incontro alla distruzione o al collasso. Siamo riusciti a rendere fragili l'economia, la nostra salute, la vita politica, l'istruzione, praticamente tutto… sopprimendo la casualità e la volatilità. Se trascorressimo un mese a letto (preferibilmente con una versione integrale di Guerra e pace e tutti gli 86 episodi dei Soprano) ci verrebbe un'atrofia muscolare; allo stesso modo, quando sono privati dei fattori di stress, i sistemi complessi ne escono indeboliti, a volte persino distrutti. Il nostro mondo moderno e strutturato ci ha spesso nuociuto con politiche e marchingegni top-down (o «calati dall'alto», definiti nel libro «illusioni sovietico-harvardiane»), che rappresentano, né più né meno, un insulto all'antifragilità dei sistemi.
Questa è la tragedia della modernità: come nel caso dei genitori nevrotici e iperprotettivi, spesso chi cerca di aiutarci finisce per farci più male.
Se quasi tutto ciò che è calato dall'alto (top-down) rende fragili, impedendo l'antifragilità e la crescita, d'altro canto con la giusta quantità di stress e disordine tutto ciò che viene dal basso (bottom-up) fiorisce. Lo stesso processo di scoperta è condizionato dall'antifragile arte di sperimentare e da un'aggressiva assunzione di rischi, piuttosto che dall'aver ricevuto un'istruzione regolare (e lo stesso vale per l'innovazione o il progresso tecnologico).
Questo ci porta al maggior fattore di fragilità della società, nonché principale generatore di crisi: l'attitudine a non «mettersi in gioco». In altre parole, qualcuno diventa antifragile a spese degli altri traendo profitto dalla volatilità, dai cambiamenti e dal disordine, ed esponendo gli altri al rovescio della medaglia, cioè al rischio di perdite o danni. E questa antifragilità-a-spese-della-fragilità-degli-altri rimane nascosta: le cerchie intellettuali sovietico-harvardiane sono così cieche all'antifragilità che raramente questa asimmetria viene individuata, e (finora) non è mai stata insegnata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
il libro
Questo testo è uno stralcio tratto
dal prologo di «Antifragile.
Prosperare nel disordine» di Nassim
Nicholas Taleb, pubblicato in Italia
dal Saggiatore (pagg. 552, € 24,00),
traduzione di Daniela
Antongiovanni, Marina
Beretta, Francesca Cosi, Alessandra
Repossi. In questi giorni è in libreria.

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