Certe cose traggono vantaggio dagli scossoni; prosperano e crescono quando sono esposte alla volatilità, al caso, al disordine e ai fattori di stress, e amano l'avventura, il rischio e l'incertezza. Eppure, nonostante l'onnipresenza del fenomeno, non esiste una parola che descriva l'esatto opposto di fragile. Chiamiamolo allora «antifragile».
L'antifragilità va al di là della resilienza e della robustezza. Ciò che è resiliente resiste agli shock e rimane identico a se stesso; l'antifragile migliora. Questa qualità è alla base di tutto ciò che muta nel tempo: l'evoluzione, la cultura, le idee, le rivoluzioni, i sistemi politici, l'innovazione tecnologica, il successo culturale ed economico, la sopravvivenza delle aziende, le buone ricette (per esempio il brodo di pollo o la bistecca alla tartara con un goccio di cognac), lo sviluppo di città, civiltà, sistemi giuridici, foreste equatoriali, la resistenza dei batteri… persino la vita della nostra specie su questo pianeta. Ed è l'antifragilità a determinare il confine tra ciò che vive ed è organico (o complesso), come per esempio il corpo umano, e ciò che è inerte, per esempio un oggetto come la graffettatrice che abbiamo sulla scrivania.
L'antifragile ama il caso e l'incertezza, il che significa anche, ed è fondamentale, che ama l'errore, o perlomeno un certo tipo di errori. L'antifragilità possiede la singolare caratteristica di consentirci di affrontare l'ignoto, di fare le cose senza comprenderle e di farle bene. Permettete che mi spinga più in là: grazie all'antifragilità siamo molto più bravi a fare che a pensare. Preferirei senz'altro essere stupido e antifragile che intelligente e fragile.
È facile, guardandosi intorno, individuare elementi a cui piace una certa dose di fattori di stress e volatilità: i sistemi economici, il nostro corpo, la nostra alimentazione (pare che il diabete e molte altre patologie moderne siano associate alla mancanza di casualità nella nutrizione e all'assenza dei fattori di stress dati da un digiuno sporadico), la nostra psiche. Esistono persino contratti finanziari antifragili: sono quelli espressamente concepiti per trarre vantaggio dalla volatilità del mercato.
L'antifragilità ci fa capire meglio la fragilità. Così come non possiamo migliorare la salute senza attenuare la malattia, né accrescere il patrimonio senza prima ridurre le perdite, l'antifragilità e la fragilità rappresentano gradi diversi del medesimo spettro.
Comprendendo il meccanismo dell'antifragilità, possiamo creare un'ampia guida sistematica al processo decisionale non predittivo in condizioni di incertezza negli affari, in politica, in medicina e nella vita in generale: ovunque prevalga l'ignoto, in qualunque situazione caratterizzata da casualità, imprevedibilità, opacità o da una comprensione parziale delle cose.
È molto più facile capire se una cosa è fragile che prevedere il verificarsi di un evento che potrebbe danneggiarla. La fragilità può essere misurata, il rischio non è misurabile (tranne che nei casinò e nella testa di chi si autodefinisce «esperto del rischio»). Ciò costituisce una soluzione a quello che ho chiamato «problema del Cigno nero», vale a dire l'impossibilità di calcolare il rischio che si verifichino eventi rari di grande impatto e di predirne l'occorrenza. È molto più facile gestire la sensibilità ai danni provocati dalla volatilità che prevedere l'evento che potrebbe causare quel danno. Pertanto, la mia proposta è di capovolgere completamente il nostro attuale approccio alla previsione, ai pronostici e alla gestione del rischio.
In ogni ambito o area di applicazione, propongo regole per spostarsi dal fragile all'antifragile, o riducendo la fragilità, o sfruttando l'antifragilità. Tra l'altro, individuare l'antifragilità (e la fragilità) è quasi sempre possibile, utilizzando un semplice test di asimmetria: qualunque cosa tragga più vantaggi che svantaggi dagli eventi casuali (o da alcuni shock) è antifragile; in caso contrario, è fragile.
Il punto è che se l'antifragilità contraddistingue tutti i sistemi naturali (e complessi) che sono sopravvissuti, privarli della volatilità, della casualità e dei fattori di stress potrà solo danneggiarli: si indeboliranno e andranno incontro alla distruzione o al collasso. Siamo riusciti a rendere fragili l'economia, la nostra salute, la vita politica, l'istruzione, praticamente tutto… sopprimendo la casualità e la volatilità. Se trascorressimo un mese a letto (preferibilmente con una versione integrale di Guerra e pace e tutti gli 86 episodi dei Soprano) ci verrebbe un'atrofia muscolare; allo stesso modo, quando sono privati dei fattori di stress, i sistemi complessi ne escono indeboliti, a volte persino distrutti. Il nostro mondo moderno e strutturato ci ha spesso nuociuto con politiche e marchingegni top-down (o «calati dall'alto», definiti nel libro «illusioni sovietico-harvardiane»), che rappresentano, né più né meno, un insulto all'antifragilità dei sistemi.
Questa è la tragedia della modernità: come nel caso dei genitori nevrotici e iperprotettivi, spesso chi cerca di aiutarci finisce per farci più male.
Se quasi tutto ciò che è calato dall'alto (top-down) rende fragili, impedendo l'antifragilità e la crescita, d'altro canto con la giusta quantità di stress e disordine tutto ciò che viene dal basso (bottom-up) fiorisce. Lo stesso processo di scoperta è condizionato dall'antifragile arte di sperimentare e da un'aggressiva assunzione di rischi, piuttosto che dall'aver ricevuto un'istruzione regolare (e lo stesso vale per l'innovazione o il progresso tecnologico).
Questo ci porta al maggior fattore di fragilità della società, nonché principale generatore di crisi: l'attitudine a non «mettersi in gioco». In altre parole, qualcuno diventa antifragile a spese degli altri traendo profitto dalla volatilità, dai cambiamenti e dal disordine, ed esponendo gli altri al rovescio della medaglia, cioè al rischio di perdite o danni. E questa antifragilità-a-spese-della-fragilità-degli-altri rimane nascosta: le cerchie intellettuali sovietico-harvardiane sono così cieche all'antifragilità che raramente questa asimmetria viene individuata, e (finora) non è mai stata insegnata.
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il libro
Questo testo è uno stralcio tratto
dal prologo di «Antifragile.
Prosperare nel disordine» di Nassim
Nicholas Taleb, pubblicato in Italia
dal Saggiatore (pagg. 552, € 24,00),
traduzione di Daniela
Antongiovanni, Marina
Beretta, Francesca Cosi, Alessandra
Repossi. In questi giorni è in libreria.
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