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Questo articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2013 alle ore 08:47.

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A nulla servono le dichiarazioni colme di understatement, anzi è una conferma: «Sono passato dalla passione alla produzione di vino – ha dichiarato a WineNews –, ma senza velleità di diventare un grande produttore. Si tratta di un'esperienza che voglio condurre con lo spirito prima di tutto di amante del vino insieme a mia moglie Linda». La vulgata narra che la tenuta sia stata comprata vendendo il mitologico Ikarus; nel settembre 2011, nel fondo di pagina 282 del mensile specializzato Nautica, si leggeva un malinconico annuncio: «Vendesi Ikarus, pluripremiata imbarcazione per lunghe crociere veloci. Coperta in teak, attrezzature Harken con winch elettrici. Interni in ciliegio con 4 cabine, 3 bagni».

Il passaggio dalla marineria alla terra l'ha svelato nel 2011 Alberto Gentili su Il Messaggero commentando la vendita del natante: «La decisione l'ha presa prima dell'estate a causa del pressing della moglie Linda Giuva. Una sorta di aut aut: "Non ci possiamo permettere la barca e l'azienda agricola. Devi scegliere tra l'una e l'altra"», questa la ricostruzione. Alla festa democratica di Ostia del 2011, invece, come ricorda sempre Salvaggiulo ne Il Peggiore, parla lui: «Siamo pieni di debiti. Ho messo su una piccola azienda agricola, i titolari sono i miei figli. Cose abbastanza normali, ma tutti si impicciano degli affari miei. Prima, siccome ho la passione per il mare, ho venduto una casa in campagna che mi aveva lasciato mio padre. Poi a un certo punto mia moglie ha detto: "Basta, noi dobbiamo dare qualcosa ai nostri figli".

Abbiamo preso un pezzo di terra e abbiamo fatto un mutuo. Ma siccome questo mutuo è piuttosto oneroso, un mutuo trentennale da un milione di euro perché non avevamo soldi per comprare 'sta cosa e il rateo è alto, mia moglie ha detto: "Qui la barca non ce sta, la dobbiamo vendere". Tutto questo è normale, non capisco perché mi debbano rompere le scatole, oltretutto è la testimonianza che ho una vita assolutamente normale». Noi però non ci facciamo ingannare. Vogliamo i feudi. Vogliamo i vitigni francesi, e D'Alema in versione Guermantes. La segretezza accresce le aspettative.

La Madeleine è blindatissima, mai è stata visitata da alcun giornalista, ed è difficilissima da trovare: il numero di telefono è introvabile, forse non esiste nemmeno; non c'è sito internet, non la conosce nessuno. Casualmente, la gita si effettua un giorno di fine settembre in cui viene annunciata la vendita di Telecom agli spagnoli, dunque memorie poco proustiane di tutti i capitali coraggiosi e privatizzazioni a bordo del panfilo Britannia: e sempre casualmente il 3G Tim quel giorno è assente su tutto il circondario, dunque non funzionano i navigatori (in un accesso di esaltazione si arriva a sospettare l'oscuramento Copasir del segnale sui feudi dalemiani). Non si hanno naturalmente mappe geografiche, e arrivando in autostrada occorre ingegnarsi, si supera Narni e un castelletto e una centrale idroelettrica, su una strada un po' da Twin Peaks con un'atmosfera sinistra; si circumnaviga più volte il paese di Otricoli, l'antica Ocriculum già glorificata da Goethe nel suo Viaggio in Italia – «Valli e valloni, da presso e da lontano, tutto è delizioso. Giace su un colle ghiaioso, accumulato dalle antiche correnti; costruita con pietre di lava».

Si passano zone industriali e viene in mente il commento scettico di un altro viaggio in Italia, quello di Guido Piovene, sulla vicina Terni, «l'unica città veramente industriale e operaia dell'Umbria. Nulla qui è somigliante alle industrie di qualità, così tipiche della regione, belle come musei e fiorenti come oasi. Mi ha fatto pensare a certi innesti di materia organica che non riescono ad attecchire su corpi poco inclini ad assimilarli. Vi ho trovato un'atmosfera agitata e apprensiva». Anche noi siamo agitati e apprensivi. Perché il posto non si trova. Si fa tappa dunque a Otricoli, paese molto risorgimentale con una piazza Garibaldi e tante vie che ricordano le guerre di indipendenza, una Cernaia, e una Via Venti Settembre, una Cavour; sulla via Roma invece una targa anche esplicativa: «Nel settembre del 1845, Massimo d'Azeglio sostò in una locanda del borgo. Il colloquio con un cameriere fu l'inizio di un sondaggio sulle idee dei sudditi dello Stato pontificio, riferite poi a Carlo Alberto, in un incontro divenuto famoso perché definito il prologo del risorgimento».

Anche D'Alema faceva i sondaggi coi sudditi come il suo collega marchese e presidente del Consiglio – tra l'altro somigliante, con baffi simili. Però ultimamente, li ha diradati, i sondaggi: la signora Mafalda, macellaia sul corso e fine politologa, nota che D'Alema, che amava molto passeggiare qui e parlare coi locali, ultimamente viene meno perché ci si è presa troppa confidenza, forse. La signora Mafalda vota Pdl ma apprezza molto l'ex presidente Ds: cui fornisce costate e salsicce per i barbecue di cui si incaricherebbe personalmente il leader, che – ci viene detto – ama anche molto i carciofini.

Ci vengono date le informazioni geopolitiche: la tenuta è esattamente all'incrocio tra i comuni di Narni e di Otricoli; viene fatto notare che il primo è a guida Pd, il secondo, preferito da D'Alema, Pdl (qui il sindaco è l'imprenditore delle pompe funebri Nico Nunzi). Si apprende che con spirito da larghe intese il nome di un altro vino della Madeleine è proprio NarnOt, crasi di Narni, Otricoli, e un rimando a Merlot. (C'è pure un NerOsé, un brut ottenuto con pinot nero, che secondo D'Alema «ha già ottenuto importanti riconoscimenti», anche se il nome sembra un po' da lingerie; ma il naming vinicolo dalemiano potrebbe assurgere a materia di studio di nicchia in futuro, forse).

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