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Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2014 alle ore 13:40.
L'ultima modifica è del 11 gennaio 2014 alle ore 15:25.

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(Epa)(Epa)

L'attesa è finita: martedì 14 gennaio sarà finalmente disponibile «High Hopes», il nuovo e attesissimo album in studio di Bruce Springsteen. Sempre che non siate già riusciti a scaricarlo dal web lo scorso 29 dicembre quando Amazon – per errore o, forse, per qualche sublime strategia di marketing della Sony – lo mise in vendita per alcune ore. Sempre che non vi vogliate far bastare l'ascolto in streaming che pure è stato disponibile in giro per il web negli ultimi giorni.

Se non lo avete ancora ascoltato ma intendete comunque acquistarlo, un'avvertenza vi serve: alla faccia del titolo, non è il caso di nutrire «grandi aspettative». Il Boss è persona di assoluta onestà, sa bene che – seppure ce la mettesse tutta – non riuscirebbe mai a superare le vette creative di una carriera discografica con pochi eguali a livello planetario e allora nemmeno ci prova. A sessantaquattro anni suonati, con profonda consapevolezza sceglie di fare solo ciò che lo diverte e, per nostra fortuna, coincide con ciò che gli riesce meglio. Dal vivo dirige il circo del rock and roll meglio organizzato al mondo che continua a regalare emozioni a masse di spettatori paganti. In studio va a pescare con libertà in 41 anni di attività di songwriter inediti, bozze di brani da sviluppare, hit da rielaborare, cover da riproporre. Facendo degli illustri musicisti con cui collabora un valore aggiunto. «High Hopes» è nato praticamente così, inciso tra il New Jersey, Los Angeles, Atlanta, Australia e New York City, negli ultimi due anni trascorsi in tour. Con il chitarrista di Rage Against Machine e Audioslave Tom Morello che, per una lunga fase, si è trovato a rimpiazzare il fido Steve Van Zandt sul palco e a dare manforte in sala di registrazione. E allora diciamo una cosa che magari farà imbufalire gli springsteeniani fondamentalisti: l'illustre ospitata rappresenta in tutta probabilità la cosa migliore del nuovo disco di zio Bruce.

La title track è una cover dei misconosciuti Havalinas, band losangelina fondata negli anni Ottanta da Chalo Quintana, diventato poi batterista di Bob Dylan: il Boss conserva la ritmica alla Bo Diddley, gratta via la patina folk, carica il tutto di pathos con il contributo della sezione fiati e la chitarra gracchiante di Morello. Non è l'unica cover del disco: «Just like fire would» è un pezzo «alla Springsteen» degli australiani The Saints che il Boss aveva già eseguito in concerto nella terra dei canguri. Monologo operaistico di un camionista: «Cinquecento miglia oggi/ altre cinquecento domani/ Il mondo scorre fuori dalla mia finestra/ e mi è più estraneo di un sogno». La ballad «Dream Baby Dream» è farina del sacco dei newyorchesi Suicide, in voga oltre Atlantico negli Eighties, perfettamente consona alle ultime produzioni del Nostro. Non manca qualche concessione alle atmosfere celtiche che affioravano in «Wrecking Ball» (c'è «This is your sword» con violino e cornamusa). La riproposizione, in veste rock, di «The Ghost of Tom Joad» è spesso ridondante e fa rimpiangere il minimalismo folk dell'album omonimo. Il brano migliore? Diciamo «The Wall», cominciato a scrivere nel '97, dopo che il Boss con la consorte Patti Scialfa si recò in visita al Vietnam Veterans Memorial di Washington, in omaggio al vecchio sodale Walter Chichon, aspirante rocker dei Sixties che perse la vita in quella guerra sbagliata. Adesso gli dedica una ballad arpeggiata piena di intensità: «Ho scritto questi versi per te/ Quella parete di pietra nera e queste difficili lacrime sono tutto ciò che mi resta/ Ti ricordo sorridente in quella uniforme della Marina». Riaffiora a tratti lo Springsteen migliore dei tempi che furono. Vien voglia di togliere «High Hopes» dal lettore e mettere sul piatto il vecchio vinile di «Nebraska». Per il resto, azzeccata la copertina che cita il «Double Elvis» immortalato da Andy Warhol nel '63. Al posto della pistola che il Re impugnava in qualche pellicola Western, c'è la Telecaster, ornamento imprescindibile del Boss da buoni quarant'anni. Dà quel senso di autocitazione e rielaborazione che rappresenta un po' la cifra di «High Hopes».

Bruce Springsteen
«High Hopes»
Sony Music

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