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Questo articolo è stato pubblicato il 22 marzo 2014 alle ore 11:04.

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Passo la prima notte a bordo all'ancora nel porto di Anversa. Mi sveglio nella notte con lo scricchiolio di porta e pareti – sembra che dietro ogni pannello ci sia qualcuno che bussa, ma è solo il motore che ingrana, facendo sospirare la struttura della nave di una vibrazione profonda. L'orecchio non la coglie direttamente – è la risultante di svariate frequenze – e la si interpreta genericamente come un frastornamento ovattato. Esco ad affacciarmi, barcollando appena per il rollio, e vedo che siamo per mare.
Nei primi giorni di navigazione, verso Amburgo, mi rendo conto di quanto vasto si spalanca il tempo a bordo – e dell'impossibilità di riempirlo. Posso leggere, fumare sul minuscolo ponte aperto e guardare il mare che è splendido e mozzafiato e, in fondo, una cosa che se ne sta lì, tutt'intorno. Passo ogni tanto al ponte di navigazione, dove devono sempre essere di guardia due ufficiali per tenere la rotta ed evitare collisioni. Una vetrata a 360° permette di vedere l'orizzonte, segnato dalle onde o dalle torri di container; all'interno i comandi occupano alcuni pannelli lunghi svariati metri, costellati di leve, pulsanti e lucine che fanno pensare alla fantascienza anni Sessanta. Ci sono dei radar e un Gps, ma la posizione va segnata ogni ora a mano su una mappa di carta.

Di notte il ponte è immerso nel buio, per permettere di scorgere le navi in lontananza; ci vogliono svariati minuti per abituare la vista, durante i quali il cielo nero si popola gradualmente di stelle. Passo svariate sere lì, mentre il terzo ufficiale con pazienza e passione mi spiega qualche rudimento di navigazione. Quando tacciamo il silenzio è rotto solo dalla radio di emergenza che trasmette suoni di statica e, nelle zone portuali, gli scherzi di qualche radioamatore che sa che quel canale, sulle navi, deve essere sempre acceso. Navighiamo placidamente, circondati dal buio e dalle stelle, interrotti ogni tanto da insulti gridati in filippino o dall'audio a tutto volume di un film porno.
Partiti da Amburgo, in sei giorni di oceano attraversiamo la baia di Biscaglia. Il mare è insolitamente clemente, a parte un giorno in cui tocca la forza sei: a me sembra molto fastidioso, all'equipaggio sembra straordinariamente calmo e a un allievo ufficiale al primo imbarco sembra la morte venuta a prenderlo. Abbandonata la costa i telefoni non prendono più, e questo contribuisce a dilatare il passare del tempo. Comincio a toccare l'isolamento, il senso di distacco, che è una componente della vita di mare e che non è una "esperienza", ma una detenzione sorda e priva di appigli.

Al quinto giorno è previsto un passaggio vicino alle Canarie, abbastanza perché arrivi la rete; e dalle cinque il ponte si popola di marinai che brandiscono in alto i telefoni come bacchette di rabdomanti. Il mio è fra gli ultimi a trovare il segnale (è uno dei pochissimi iPhone), e quando ottengo la linea le luci di Tenerife già si allontanano a poppa. È la prima volta da una settimana che sento la voce di una donna.

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