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Questo articolo è stato pubblicato il 24 marzo 2014 alle ore 06:41.

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Tra la domanda – può uno stupro servire a renderti simpatica? – e la risposta – altroché: può persino servire a renderti votabile – sono passati tre mesi, in tv. Nella realtà, per intrattenerci nell'attesa, il portavoce dei Cinquestelle ha rassicurato la presidente della Camera, che aveva dato a coloro che la minacciavano sul blog del Movimento dei "potenziali stupratori": «Anche se noi del blog di Grillo fossimo tutti potenziali stupratori, tu non corri nessun rischio». Poni una domanda televisiva sullo stupro come eventuale fattore di consenso e gradimento, passano mesi, e la vita ti risponde spiegandoti che comunque, fuori dalla tv e dentro al Parlamento, anche per lo stupro serve un quid che o ce l'hai o non passi la selezione.

C'era una volta la sospensione dell'incredulità. Poi arrivò l'autunno del 2001. Se la cultura popolare è vaga intuizione plasmata con invidiabile tempismo (che è una formula che mi sto inventando ora, ma fingeremo sia una definizione d'una qualche autorevolezza), nessuno ha inciso di più sulla tv e quindi sulla politica di questi anni di quanto abbia fatto 24. 24 è un telefilm andato in onda per sette stagioni dal novembre 2001. Kiefer Sutherland impersonava un agente dell'antiterrorismo che, ogni volta, aveva 24 ore per fermare qualche complotto, attentato, fine del mondo.

Se nel 2014 erano ridicole le preoccupazioni sull'impressionabilità dei giurati dell'Oscar, che non avrebbero visto e quindi votato 12 anni schiavo, c'entra 24. Che ha fatto della tortura una branca dell'intrattenimento generalista. Se negli ultimi mesi di Scandal – in onda su una rete per famiglie, mica su un canale cable per intellettuali – ci sono stati uno che strappa i denti alla sua migliore amica per farle confessare un doppiogiochismo, e una che si strappa la carne dai polsi a morsi per farsi portare in infermeria dalla cella in cui è rinchiusa, è perché c'è stato 24. La pornografia della tortura va in prima serata: come possono gli spettatori di un film sullo schiavismo impressionarsi?

Se prendiamo l'11 settembre 2001 come l'inizio della contemporaneità, 24 è l'unica serie che si sia fatta trovare pronta. Era già in produzione e, quando venne messa in onda, era il più preciso dosaggio di Zeitgeist che rete televisiva potesse sognare. Eravamo circondati. Tutti tramavano contro tutti. Tutti torturavano tutti. Tutti erano pronti a tutto. 24 era la tv del futuro, e quindi anche la politica del futuro. Era il paranoico che abbiamo incontrato poco fa sul tram – quello che diceva che i servizi segreti vogliono ucciderlo perché lui sa la verità – fatto divenire lucido analista politico. Era domani. Era oggi. Jack Bauer, l'agente che salvava l'America non solo dai terroristi cattivi ma anche dal Governo doppiogiochista, dagli altri agenti corrotti, da se stessa, era uno il cui programma elettorale era «Il re è nudo». Ci sembrava solo uno squalo che saltava uno squalo a cavalcioni d'un altro squalo, solo una sagra di soglie del dolore implausibili e complotti fantascientifici. Dovevamo fidarci di più di Woody Allen. Dovevamo saperlo, che poi Jack Bauer l'avremmo votato. Era fucking political, e sembrava solo un telefilm con gli spari.

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