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Questo articolo è stato pubblicato il 26 marzo 2014 alle ore 07:58.

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FdS: «Dio chi? Aspetta: quel personaggio della Goldstein?»
Parodia! Postmoderno! Pastiche!
The Instructions, Adam Levin,
McSweeney's 2011, 1030 pp.

Mastodontica odissea di soli quattro giorni (250 pagine a giornata e voi temete di essere grafomani) intorno alla rivolta di un gruppo di studenti decenni capitanati da un novello messia ebreo: Gurion. Il libro è un gingillo di scatole cinesi su una Nuova Bibbia, quella che stiamo leggendo, che il nostro editore sta pubblicando tra mille remore. Quindi è: 1. Una storia in prima persona, 2. L'esegesi di questa storia, 3. Una riflessione sulla narrazione stessa, 4. Uno scherzo metametameta, 5. Una goliardata. Tutto viene sottoposto a digressione, con uno stile che sembra puntare sempre alla logorrea, all'inciampo, allo scarto. Parodia, postmoderno, pastiche: altro che il vostro PPP! Il risultato è una sorta di granitico e friabile guanto di sfida rivolto gratuitamente a se stesso, dove lo spirito caustico del nostro (anti)eroe (anti)Cristo è rivolto per tutto il tempo all'ammicco verso il lettore, in un delirio self-conscious che a ogni pagina dice: sto scrivendo consapevolmente per te una sorta di Comma 22 al quadrato. Heller, Vonnegut, Kesey, mescolati alla verbosità ebraica. Bum.
FdS: «In confronto a Levin, DFW sembra un Carver più succinto».
Virtuosismi cabalistici
Witz, Joshua Cohen, Dalkey Archive Press 2010, 820 pp.

Tutti gli ebrei del mondo (però si chiamano "Affiliati") muoiono per una strana malattia, con l'eccezione dei primogeniti. Di questi, adottati dal Governo e deportati, ne resta vivo solo uno: il nostro eroe. Quando l'ebraismo diventa una moda, verrà stigmatizzato perché, unico ebreo in vita, tende all'ateismo. A volte è un Portnoy al cubo (c'è un medico che vuole infilare il pene nella narice della segretaria), ma la parola "Jew" compare solo nel sottotitolo. Vero nume tutelare dell'opera: James Joyce impasticcato. Di qui tutto un continuo gioco elusivo di rimandi e bisticci e citazioni che danno le vertigini a ogni pagina. Se in esergo riporta una citazione di Dio (cioè uno spazio vuoto), il romanzo – ma romanzo non rende l'idea: divagazione fantastica, flusso di coscienza, magma cerebrale, borbottio cabalistico, monologo farcito di wit, trascrizione finneganiana, accostamento continuo di sacro e profano, di mito e realtà – esplode di incisi, digressioni, agudezas, omofonie. Anche solo il fatto che un individuo sia riuscito a portare a termine una simile impresa e, soprattutto, a trovare un editore (oltre a guadagnare 5 lettori che su Amazon confessano un'eloquente gratificazione per essere arrivati in fondo) desta stupore. 820 pagine non rendono giustizia alla mole: stampate in carattere minuscolo con interlinea minimo, compongono una mastodontica quantità di cartelle. Ma Witz sarebbe una lettura complessa anche se fosse lungo 30 righe.
FdS: «Prima di leggerlo, fai stretching».

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