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Questo articolo è stato pubblicato il 01 aprile 2014 alle ore 08:49.

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Eugenio Scalfari, fondatore di La Repubblica, il 6 aprile compie 90 anni (Contrasto)Eugenio Scalfari, fondatore di La Repubblica, il 6 aprile compie 90 anni (Contrasto)

Si è costretti ad aspettare. «A differenza degli altri partiti, dove tutti erano obbligati a identificarsi con un monarca – un Berlusconi, un Grillo, un Monti, un Casini – il Pd era appunto un partito. Oggi, è il partito di Renzi. Se perde lui, si trascina nella sconfitta il partito. E la sinistra».

E il lascito gramsciano, l'egemonia culturale? «L'intellettuale organico a un preciso progetto politico fu presente tanto nella Dc quanto nel Pci. Cosa furono, se non intellettuali, Giorgio La Pira, Giuseppe Dossetti o lo stesso Amintore Fanfani, la cui caratura culturale era notevole? E così Aldo Moro, o Emilio Colombo? Furono intellettuali chiamati alla guida del partito. Come nel Pci dove già nel 1926, pur in clandestinità, il partito, dominato dalla figura di Gramsci, chiamava a sé intellettuali come Pietro Ingrao che, pur partecipando ai Littoriali di poesia in divisa da avanguardista, prendevano la tessera della Falce e martello continuando a pubblicare su Roma Fascista, il giornale dove sette anni dopo arrivai io».
La politica è una disciplina intellettuale. «Gli intellettuali hanno guidato la politica in Italia. Quando nella Napoli conquistata dagli americani arriva Palmiro Togliatti, arriva un intellettuale. Dà disposizioni precise ai comunisti: riconoscere il governo Badoglio, quindi il Re. Poi illustra il programma: realizzare "la Rivoluzione progressiva". Lo interrompono: "Volevi dire progressista, compagno?". Lui taglia corto: "La Rivoluzione si svolge acquisendo sempre più le masse. Fino alla maggioranza" aggiunge, ma pour la bonne bouche. In lui parlava l'intellettuale. Con un preciso proposito: conservare e rafforzare le libertà borghesi».

Chi erano i non organici? «Alcuni erano di destra. Oggi diremmo qualunquisti. Si proclamavano "a-poti", ossia, coloro che non se la bevono. Giovanni Ansaldo, per esempio, il direttore del Mattino. E poi Indro Montanelli, sempre inevitabilmente a destra. Ricordo quando con Indro ci trovammo insieme sul palco della Festa dell'Unità. Lui aveva appena rotto con Silvio Berlusconi. Aveva fondato La Voce, giornale che durò poco. Dal palco li maltrattò e si prese un diluvio di applausi. Io, invece, ricevetti solo un educato battimani».
E i non organici, a sinistra? «Due nomi. Franco Antonicelli, liberale di sinistra, e poi Norberto Bobbio. Bobbio non vedeva i comunisti come nemici: voleva solo che cambiassero». Paolo Mieli è un non organico? «Tranne che in Potere Operaio, lui non è mai stato in un partito. Due volte direttore del Corriere della Sera – e negli intervalli presidente della Rizzoli Libri – ha oscillato tra Silvio Berlusconi e i Ds, fino al Pd. Giuliano Ferrara, invece, ha seguito un percorso: dirigente del Pci, oppositore delle Br, quindi socialista con Bettino Craxi, infine berlusconiano e, in un certo senso, anche renziano».

La sinistra è naturaliter intellettuale? «Enrico Berlinguer strappa con Mosca. Con lui il Pci diventa un Partito d'Azione di massa. "Ha imboccato una strada irreversibbile", mi disse al telefono Ugo La Malfa, il leader del Partito repubblicano. "Mentre quel miserabbile", aggiunse, con il suo forte accento siciliano, "lo vuole tenere nel ghetto". Il "miserabbile" era Bettino Craxi. Non voleva neppure chiamarlo per nome. La Malfa, ancora una volta un intellettuale, diceva questo di sé: "Appartengo alla sinistra. Ma deve cambiare. Deve pervenire a una democrazia compiuta. E così il capitalismo. Io vi sono dentro. E deve cambiare". Il Pci che fa proprio questo mondo è come Roma che conquista l'Ellade: diventa greca. E così i comunisti: diventano radicali, azionisti e borghesi. Massimo D'Alema, che con Giuliano Amato dà vita alla fondazione Italianieuropei, è l'esempio perfetto di questo percorso di maturità intellettuale. E così Walter Veltroni, che è un fior di intellettuale e, secondo me, ha tutte le carte in regola per diventare un ottimo presidente della Repubblica. Quando, ovviamente, Napolitano deciderà di lasciare».

E Scalfari che fa politica? «C'era una volta un partito, il partito Radicale, che aveva tre segretari e un vice. Uno era Franco Libonati. Uno era Arrigo Olivetti. Il terzo era Leopoldo Piccardi, giurista di fama. Il vice segretario ero io. È il 1956, faccio la campagna elettorale ed è anche l'occasione per conoscere l'Italia. Arrivo in Sicilia per sostenere la nostra candidata, Topazia Alliata di Salaparuta, principessa e madre di Dacia Maraini. Topazia, impegnata a Palermo, mi prega di andare a comiziare, anche in sua assenza, nella sua città di origine, a Bagheria, dove mi aspettano ben due uomini del partito: un iscritto e un simpatizzante. Mi accompagnano in piazza, e lì non trovo quello che mi aspetto di trovare, cioè una ventina di curiosi, ma una piazza gremita all'inverosimile, tutti con la coppola in testa e arrivati lì, mi spiegano, perché desiderosi di ascoltare il comizio precedente al mio e quello successivo. Da quella selva di coppole vedo spuntare un viso familiare: l'avvocato Luprano, cognato di Mario Pannunzio, che vive e opera a Bagheria e, se proprio non è della mafia, è considerato di mezza mafia. Ebbene, Luprano mi vede, si avvicina e mi abbraccia: "Eugenio", mi dice, "ti presento io". Io rispondo: "Sì, va bene, fai un saluto, ma poi la presentazione la fa il compagno radicale di Bagheria".

L'avvocato non si perde d'animo, fende la folla in forza della sua autorità e arriviamo sul palco, dove, dopo il suo benvenuto faccio il mio discorso. Il cavallo di battaglia, all'epoca, era l'argomento anticlericale: abolizione del Concordato. Lo svolgo per intero per poi passare, dato il contesto, a un'invettiva contro la mafia, consumata con toni così accesi ed enfatici da produrre in piazza un gelo, un silenzio assoluto presto interrotto. L'avvocato Luprano, alle mie spalle, sentendosi in dovere di ospitalità, guadagna il proscenio e applaude a mani alte. L'intera piazza esplode. "Questa è gente nostra!" dice soddisfatto».

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