«A maggio finisco il secondo settennato, chiudo i miei settant'anni di giornalismo. Il primo articolo l'ho scritto a 17 anni con un titolo profetico "Uno sguardo sull'Italia", mi ritiro a 87». Ore undici di venerdì, nel suo ufficio al Quirinale, Arrigo Levi mi accoglie così mentre chiude la sua borsa di pelle e muove gli occhi con la vivacità di un ragazzo. Si alza, mi mostra la foto con Nenni e quelle con i suoi "amichetti" moscoviti Gorbaciov («il preferito»), Putin e Medvedev, il quadretto con la cittadinanza onoraria di Tagliacozzo, la foto in barca sul Canal Grande, a Venezia, tra Carlo Azeglio e Donna Franca. Torna sul giornalismo: «Pensa che l'Avvocato non mi ha mai fatto un complimento per un mio articolo mentre dirigevo "La Stampa". Se lo avesse fatto, mi avrebbe rovinato perché il complimento presuppone che avrebbe potuto anche dirmi che era sbagliato, non era il mio giudice». Davanti all'ascensore, un sorriso complice: «Mia moglie ha novant'anni, ma è spaventata, che faccio con te a casa di mattina?». Si chiudono le porte e penso: troverà un altro ufficio e continuerà a scrivere articoli, non cambierà le sue abitudini.
Torno con la mente a qualche giorno prima. Sono al Politecnico, a Milano, con il rettore, Giovanni Azzone. L'aula è gremita di ragazzi e ragazze. Scende il gelo quando la professoressa Cristina Masella cita un passaggio di un discorso di qualche tempo fa di Mauro Brivio, presidente del Consiglio degli studenti: «Nel considerare la mia condizione, mi sono chiesto quale caratteristica mi accomuni a tutti gli altri giovani e studenti di questo Paese. La risposta più spontanea e istintiva è stata la paura». Ho recuperato il testo integrale. C'è scritto: «Sui nostri pensieri incombono mille paure: paura di non riuscire a riscattare tutti i crediti, paura di perdere la borsa di studio, del contratto a progetto che scade; paura di non riuscire a pagare l'affitto, le bollette, le tasse; paura di non trovare, dopo gli studi, un lavoro all'altezza delle nostre aspettative o di trovarne uno del tutto privo di soddisfazioni, o di non trovarne affatto». Qualche riga più sotto la sintesi inquietante: «Questa generazione, la mia generazione, ha paura del proprio futuro; non credo possa trovarsi un indicatore più significativo per certificare lo stato di malessere di un Paese». Dentro il "suo" Politecnico Brivio sta bene e impara tanto, gli manca la fiducia di Arrigo Levi, classe di ferro 1926. Lui ci metta del suo, ma anche il Paese si affretti a restituirgliela.
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