Cultura

La lezione del mondo e il nostro capitale umano

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La lezione del mondo e il nostro capitale umano

Sono stato seduto per due giorni, venerdì pomeriggio e sabato mattina, su una poltroncina blu sopra un palco, alla Fieramilano city, e ho avuto la sensazione di girare il mondo rimanendo perfettamente immobile. Avevo a fianco compagni d'eccezione, come l'ex governatore della Banca di Polonia, Leszek Balcerowicz, una delle figure carismatiche del partito socialdemocratico tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ma anche il custode più estremista dell'ortodossia germanica, Hans-Werner Sinn. Economisti di valore ci hanno saputo raccontare come meglio non si potrebbe perché il Brasile è cambiato ma rischia di fermarsi (Teresa Ter-Minassian), le colpe (gravi), le virtù nascoste e la speranza di rinascita del popolo greco (Stathis Kalyvas). Alle nostre spalle campeggiava una scritta blu, a caratteri impegnativi, «CAMBIA ITALIA, riforme per crescere».
Questa due giorni milanese di Confindustria mi ha lasciato dentro, tra una tavola rotonda e l'altra, interventi mirati e la lucida analisi complessiva di Luca Paolazzi, una sicurezza assoluta: tutti i Paesi che hanno avuto la forza di cambiare, hanno vissuto una fase di austerità, ma hanno costruito insieme le basi della crescita incidendo su gangli vitali come la sanità e l'istruzione, previdenza e mercati protetti e, soprattutto, lo hanno fatto per un tempo ragionevolmente lungo, cambiando anche maggioranze parlamentari, ma senza mai fare marcia indietro. Ci sono stati uomini di governo che hanno saputo coniugare capacità tecnica e visione politica, ma con loro ci sono stati sempre i cittadini, lo spirito condiviso di rinunciare tutti a qualcosa per avere tutti di più dopo in modo stabile e duraturo. Si parlava di economia, ma ci si occupava della vita delle persone, del lavoro che non c'è e va inventato. Non esiste una strada obbligata per tutti, ma la via scelta per ridurre davvero le disparità dovrà incidere, in profondità, nelle fondamenta civili di un Paese e attraversare il suo tessuto sociale e umano. Mi è tornata in mente la frase attribuita a Massimo D'Azeglio: «L'Italia è stata fatta, bisogna fare gli italiani». Non è neppure certo se l'abbia detta veramente lui o, piuttosto, Ferdinando Martini. Poco importa, esprime una verità che non tramonta. Il filosofo francese, Ernest Renan, non ha dubbi: «La nazione è una grande solidarietà, un plebiscito che si rinnova ogni giorno...». Non amo i "plebisciti" ma la fatica comune, i valori condivisi e praticati quotidianamente, sono il lievito di una nazione e fanno la differenza. Nessun Paese può sopravvivere al disfacimento del suo capitale umano.
roberto.napoletano@ilsole24ore.com
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