«Caro direttore, mi chiamo Stefano, ho 24 anni, il mio paese d'origine è Calimera dove si parla ancora il Griko, una lingua a metà tra il dialetto locale leccese e il greco antico. A 19 anni, dopo la maturità scientifica, ho deciso di trasferirmi a Modena per frequentare l'università. Ho conseguito una laurea sanitaria a pieni voti che mi consente di lavorare presso un'azienda biomedicale del distretto mirandolese nel dipartimento di ricerca e sviluppo. Ho un contratto di somministrazione, già il nome stesso è terrificante, e formalmente dipendo da un'agenzia interinale. Il salario netto è buono, l'ambiente di lavoro discreto. Non posso lamentarmi: molti perdono il posto di lavoro, io lo conservo e avverto che più della crisi è proprio la paura del futuro che ci atterrisce. Ho tanti sogni da realizzare e non mi arrendo all'idea che non si possa invertire la rotta. Le mie ali non si toccano, ci hanno già provato in tanti a spezzarle». Bravo Stefano, la forza e la dignità di questa lettera fanno onore a te e al nostro Paese e ci regalano ciò di cui abbiamo più bisogno: speranza e fiducia in un'Italia che cambi in profondità partendo da noi stessi, con la grinta e la determinazione che solo i giovani migliori possono avere per fare la loro parte, senza arrendersi mai, e imporre alla politica di fare (bene) la politica. Venerdì scorso, ore 23, ricevo da Edoardo Scarpellini, una mail nella quale si legge: «Ho potuto raccontare a Porta a Porta la storia della mia azienda che ho iniziato a costruire 4 anni fa all'età di 19 anni, un messaggio di incoraggiamento alla "generazione ventenni" che ha il compito di ricostruire questo Paese». Edoardo il suo futuro se lo è inventato in vacanza, fuori dall'Italia, rubando l'idea (giusta) per fare turismo e cultura in un modo (nuovo) di cui Milano era (incredibilmente) sprovvista. Si è fatto il giro di musei e ristoranti, ha convinto l'Atm, e ha portato a casa la "Milano Card" che apre ai turisti le porte della città offrendo mezzi di trasporto e visite guidate. Mi è capitato di ascoltarlo la sera del primo maggio in televisione e mi è rimasta impressa una frase («Siamo come i nostri nonni») che mi ricorda lo spirito di Promemoria italiano e l'urgenza di rivivere nei comportamenti la stagione del dopoguerra. Ho deciso di cercarlo al telefono per fargli i complimenti ed esprimere la mia sorpresa. «Direttore, siamo tanti a pensarla così, siamo tanti a metterci alla prova e tutti vogliamo essere all'altezza dei nostri nonni» mi risponde serafico e mi fa sperare che l'Italia può cambiare davvero. Non sarà facile, anzi, ma bisogna crederci.
roberto.napoletano@ilsole24ore.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA
