Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 16 aprile 2014 alle ore 18:40.

My24

Ma non c'è nessuna Resistenza, nel senso che il lettore cercherebbe invano un qualunque filo che non sia puramente narrativo. Un filo cronologico. Un filo ideologico. Al limite, un filo logico che tenga uniti spazi e tempi, alto e basso, amici e nemici. Eppure, dalla prima pagina all'ultima i racconti vivono di una loro coerenza evidente, assoluta, garantita dalla compresenza sorprendente – quasi miracolosa – di un registro neorealistico e di un registro fiabesco. Il miracolo di Giulio Questi è la scrittura di una Resistenza, insieme, tutta cose e tutta favole.

Se è epopea, Uomini e comandanti è epopea della polenta. Dea benefica per i partigiani, quand'anche malcotta o grumosa, sporca o trafugata. Dea benefica anche quando, indugiando oltre misura nei loro visceri, li condanna a produrre infine tra i cespugli «pallettoni neri», «numerosi e rotolanti come lo sterco delle capre». E benefica perfino quando, nei sogni notturni, i «grandi seni» di donne sconosciute si tramutano in «polente fumanti appena riversate dal paiolo». Anche fuori dai sogni, d'altronde, quello dei partigiani è più sesso che amore. Li accende il «culo alto» della contadina senza nome che ha un modo tutto suo di mostrare loro la lingua, prima di portarsene due sulla paglia. Li inebria – o almeno inebria Clem – il sapore di Stella, la trentenne tranquilla che il vergine diciottenne possiede «con il muso, a grandi colpi, come un vitello affamato».

La fisicità dei partigiani di Questi è quella povera, scabra, irredimibile dei montanari della Bergamasca. Bovari o carbonai, pastori o uccellatori la cui sostanza umana sembra fare tutt'uno con la sostanza zoologica delle creature che li circondano, nei prati come nel bosco: galline, vacche, maiali, ma soprattutto larve, formiche, salamandre, ragni, vipere, e l'esercito variamente svolazzante di tafani e calabroni, cornacchie e lucherini, storni e fringuelli. Più ancora che Italo Calvino, si direbbe che Giulio Questi abbia combattuto la Resistenza da entomologo. Forse perché il suo sguardo di studentello era già, senza saperlo, quello del cineasta. «Da partigiano ho sempre avuto un'attenzione esasperata a dove mettevo i piedi e gli occhi. Oggi si dice immagine ad alta definizione», ha dichiarato Questi in un'intervista del 2010.

Cinematografici, i racconti di Uomini e comandanti lo sono quasi a ogni pagina. Lo sono attraverso la luminosità di una neve onnipresente e malfida. Lo sono nei movimenti decisivi delle nuvole. Lo sono nella suggestione degli sfondi, il roccolo del cacciatore di uccelli, la montagnola fumante della carbonaia, il lago d'alta quota dove inopinatamente si tuffa Pantelleria il siciliano. Lo sono nell'invadenza della carne animale, come dentro una pulp fiction partigiana (tra i più ferventi ammiratori del cinema di Questi risulta essere Quentin Tarantino). Lo sono nella cromatica dei corpi umani, vivi o morti: le carni bianche dei montanari bergamaschi, il membro blu dell'alieno Pantelleria, lo scrigno di raso rosso che corrisponde alla testa scoperchiata di un aviatore canadese.

Né scrivendo della Resistenza all'indomani della Liberazione, né (meno che mai) tornando a scriverne cinquant'anni dopo, Questi è caduto nella tentazione didascalica del Calvino autore, nel 1947, del Sentiero dei nidi di ragno: la tentazione di spiegare – fosse pure in una manciata di pagine – le ragioni ultime della lotta resistenziale. L'obiettivo più gettonato dai partigiani di Uomini e comandanti è il Monopolio dei Sali e Tabacchi di non si sa quale paese della val Seriana. Il ribelle che più si avvicina all'archetipo del martire, l'oste Antonio, combatte i nazifascisti «per mangiare cotenne di lardo». E la notte, il paesaggio onirico dei dubbi eroi di Questi non si anima unicamente con grandi seni di donna tramutati in polente fumanti: «Sognavano di partire per un qualunque posto e di non tornare mai più. Sognavano di impiccarsi insieme al Bergamino. Sognavano di strozzare il Prete. Sognavano di violentare la Ragazza».

La Storia non entra mai nei loro discorsi, il loro è un presente dimentico del passato e ignaro del futuro. È vero, i partigiani di Questi sono ammiratori incondizionati del comandante M., il loro capo in val Brembana. Si sentono attratti dai suoi scarponi con la gomma, dalla sua giacca a vento bianca, e anche dai suoi occhi celesti. Ma che cosa quegli occhi «vedessero veramente», i partigiani non sanno. «Il Pasqua lo domandò all'Opinel: - Dì un po'. Ma cosa guarda quando guarda? - Non lo sa nessuno, disse l'Opinel». «Forse qualcosa di bello».

Il libro di Giulio Questi, Uomini e comandanti, postfazione di Angelo Bendotti, Einaudi, Torino, (pagg. 194, € 18,00) sarà in libreria da martedì 22 aprile

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi