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Questo articolo è stato pubblicato il 18 aprile 2014 alle ore 20:16.
L'ultima modifica è del 19 aprile 2014 alle ore 10:14.

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- E della morte ha paura?

Della morte no. Di morire sì. Del fatto di morire. Mi preoccupa, soprattutto come scrittore, che il fatto più importante della mia vita, che sarà quello di morire, è l’unico del quale non potrò mai scrivere.

- La religione e Dio, hanno uno spazio nella sua vita, o no?

Sfortunatamente, Dio non ha uno spazio nella mia vita. Nutro la speranza, se esiste, di avere io uno spazio nella sua.

- Si sa che i suoi primi maestri sono stati due scrittori a loro modo antitetici, cioè Kafka e Joyce. Poi ci fu l’incontro con uno scrittore radicato nel sociale, come Faulkner. Ecco, adesso, dopo tanti anni, qual è l’influenza che sente più determinante, se ne sente ancora una?

C’è una cosa interessante nella vita di uno scrittore. Gli si rivolgono sempre delle domande su chi l’ha influenzato. Per prima cosa uno non è molto cosciente delle influenza che subisce, e poi, quando uno sente molto il peso di un grande scrittore, tutti gli sforzi che fa non sono per assomigliare a questo scrittore, ma anzi, per non assomigliargli. Ora certo, tra gli scrittori che lei cita, ce ne sono due dei quali ho sempre cercato di liberarmi, e sono Kafka e Faulkner. Credo, ad ogni modo, che qualunque influenza io abbia subito da parte loro, sia un’influenza tecnica, del modo di scrivere.

- Ma per esempio, Borges, che è uno scrittore così diverso da lei, lei come lo considera?

È un grandissimo scrittore. È un grande scrittore.

- E Vargas Llosa?

Un ottimo scrittore.

- Senta, ma insomma, chi è dopo Garcia Marquez, lo scrittore Latino-americano più importante oggi, secondo lei?

Non saprei, le assicuro. Le giuro che se ci pensassi, non riuscirei…non credo, tra l’altro, di essere io il più importante. La cosa migliore, secondo me, che è successa in America Latina in questi ultimi anni, è che si è formata una folta schiera di romanzieri che rappresenta il gruppo di scrittori più importanti che ci sono oggi al mondo.

- E fra gli italiani, chi preferisce? Se c’è qualcuno che ama.

Sciascia, attualmente. E ovviamente la bellissima poesia di Tonino Guerra, però quella tradotta da lui, che è il migliore traduttore i se stesso.

- Ed Eco? Che cosa ne pensa?

Purtroppo quando mi ha rivolto la domanda, non ho pensato ad Umberto, che è un mio grande amico da moltissimi anni, perché non ho mai pensato a lui in termini di romanziere. Sono un grande ammiratore de ‘Il nome della rosa’, che tra l’altro per me è uno dei libri più sorprendenti, in quanto, pur contenendo intere pagine in latino, è riuscito a diventare un best-seller popolare oltre che mondiale. Questo, oltre ad essere un miracolo letterario, è anche un miracolo editoriale. È un miracolo sotto tutti gli aspetti. È un libro che amo molto.

- Ma lei come se lo spiega questo miracolo?

È proprio perché non me lo spiego, che lo considero un miracolo.

- Senta, a proposito dell’Italia, un giorno lei ha detto ‘l’Italia è un Paese attraversato dai miraggi, dove non esiste la verità’. Ecco, cosa vuol dire?

È così magica l’Italia, che non si è molto sicuri che esista davvero. Tanto per cominciare è un Paese che amo moltissimo, dove vado tutti gli anni, perché entro in una specie di delirio, di follia, non appena arrivo. È questo quello che volevo dire. Sa che cosa ho detto io?ricordo invece di aver detto che gli italiani hanno fatto una scoperta che è la scoperta definitiva degli esseri umani: hanno scoperto che esiste soltanto una vita.

- Proust, quando scrisse ‘Alla ricerca del tempo perduto’, per ricercare il mondo che aveva dentro di sé visse per anni segregato in una stanza foderata con pezzi di sughero, per non sentire i rumori del mondo di fuori. Lei è uno scrittore così, o è uno scrittore che ama disperdersi con la sua immaginazione a contatto col mondo?

Al contrario, io prendo il mondo d’assalto, lo saccheggio. Quando scrivo apro le finestre, e tutti i rumori che vengono dall’esterno, tutte le voci, tutto quello che succede, lo prendo e lo metto dentro al romanzo che sto scrivendo. E vado per strada a raccogliere gente, cose, avvenimenti, e li metto in un sacco, con cui poi riempio il romanzo. È assolutamente impossibile vivere fuori del mondo, per uno scrittore.

- Come giudica questo comportamento di Proust, per esempio, di uno scrittore così?

È uno scrittore totalmente introverso. Però, ad ogni modo, con Proust è solo un problema di metodo. Perché, quando lui se ne stava chiuso in quella stanza, completamente isolato dal resto del mondo, aveva già tutti i suoi sacchi pieni della società del suo tempo, di cui è stato il chirurgo più sottile. Perciò il mondo, certo, gli interessava, solo che l’aveva già impacchettato. A me, invece, piace raccoglierlo fresco, per strada.

- Chi le sarebbe piaciuto essere, se non fosse stato Garcia Marquez?

Figlio mio.

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