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Questo articolo è stato pubblicato il 28 aprile 2014 alle ore 09:41.

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All'interno del contesto anglosassone, tuttavia, quello sulle statistiche è un dibattito aperto. Non è chiaro fino a che punto il merito delle vittorie in campo della squadra vada anche allo staff chiuso nella stanza dei computer. Il Guardian riporta la confessione dell'analista del Bolton, Brian Prestidge, su come il loro portiere parasse meno rigori da quando aveva cominciato a studiare le statistiche dei tiratori avversari, commentando: «Abbiamo soffocato l'elemento umano, il suo istinto». Anche un uomo di calcio come Alex Ferguson venne tratto in inganno da una cattiva interpretazione dei dati quando decise di cedere Jaap Stam alla Lazio perché i suoi numeri nella casella delle scivolate erano sempre più bassi. Quello che per Ferguson era segno di declino fisico corrispondeva in realtà a un cambio di stile nel gioco del difensore olandese: alcuni difensori tecnici riescono a non ricorrere alla scivolata se non come ultima risorsa (e in generale i difensori che ne fanno di più sono quelli delle squadre più deboli, che subiscono più attacchi). Ferguson ammise in seguito che fu uno dei suoi pochi errori in carriera. Damien Comolli, uomo di mercato francese, è forse il personaggio che meglio interpreta le due facce della medaglia: fu lui a portare Luka Modrić e Gareth Bale (quando aveva 17 anni) al Tottenham; e fu sempre lui a far buttare 35 milioni di sterline al Liverpool per Andy Carroll, ceduto due anni dopo al West Ham a più o meno la metà del prezzo.

Se usate bene, le statistiche possono essere comunque utili per fare acquisti intelligenti. Si può cercare, ad esempio, un giocatore giovane per sostituirne uno in declino confrontando le statistiche del primo con quelle del secondo nei suoi anni migliori. E giocatori giovanissimi di qualche campionato minore possono finire nel cono di luce di club importanti più facilmente di prima. «Oggi devo poter valutare allo stesso modo un calciatore che gioca in Uruguay in seconda divisione e uno che gioca in Croazia. Non bastano i dati di quaranta leghe, oggi si compra in ottanta Paesi», racconta Matteo Campodonico, fondatore di Wyscout: un archivio video utilizzato praticamente da tutte le squadre del mondo in cui ogni giocatore ha una serie di filmati taggati per categorie (colpo di testa, aggressività, passaggi). Le statistiche vere e proprie in questo caso non servono per andare in profondità, ma per portare in superficie giocatori interessanti: «Il dato è un grande filtro», spiega Campodonico. Una tecnologia di questo tipo non può sostituire l'intuito di un direttore sportivo, ma gli permette di risparmiare i soldi di chissà quanti biglietti aerei, per muoversi di persona solo per giocatori per cui ne valga la pena. Continua Campodonico: «Oggi se fai un acquisto lo conosci bene. Nessuno mente più su un calciatore. Quindi se prendi un giocatore e non rende, non è perché non è buono». Per spiegare come funziona nella pratica il processo dello scout calcistico, fa l'esempio di Víctor Orta, direttore sportivo dello Zenit di San Pietroburgo («uno dei più evoluti su questo tipo di cose»), che in assenza di altri strumenti tiene d'occhio persino i voti dei giornali. Dopo tre 7 in pagella scatta l'allarme. Osserva Campodonico: «In Inghilterra e in Germania si investe in queste cose a livello societario. C'è una visione di lungo periodo. In Italia invece oggi mancano gli investimenti nell'organizzazione delle società».

Fondamentalmente, non è ancora chiaro quanto il calcio sia uno sport adatto alla statistica. Se un giorno i dati avranno l'importanza che hanno per sport tipo baseball, basket e football americano, o se le sue caratteristiche specifiche (i pochi punti che si realizzano a partita, la fluidità tra azioni di attacco e difesa, la loro durata, l'ampiezza del campo, i molti uomini coinvolti, il fatto che si gioca con i piedi e non con le mani, la componente di fortuna e la possibilità di vincere ingiustamente) rendano i numeri del tutto inutili o quasi. Probabilmente bisognerà cercare dei dati meno ambigui, di interpretazione più diretta, come osserva Gagliardi: «Vanno cercate nuove chiavi di lettura. Soprattutto per la fase difensiva. Percentuali di qualità, posizioni in cui avvengono i contrasti, percentuali sul totale degli attacchi subiti». Nel frattempo si provano a mischiare categorie statistiche diverse per creare algoritmi che misurino oggettivamente le prestazioni dei calciatori o concetti ancora più astratti (la pericolosità di un tiro), andando nella direzione di una fusione tra dati eterogenei (fisici e tecnici). Sembrerebbero due posizioni inconciliabili, ma per chi già lavora con le statistiche il problema teorico non si pone. L'importante è capire che vantaggi si possono trarre da uno strumento a disposizione. Come spiega ancora mister Mangia: «Per me il dato non deve essere la verità assoluta. Rispetto i pareri e le valutazioni di tutti (anche di quelli che sostengono che in realtà le statistiche non servono a niente, ndr). Tuttavia io preferisco avere più informazioni possibili per migliorare la mia squadra. Giusto, sbagliato, non lo so. Io preferisco averle».

Quello sulle statistiche è un discorso che noi italiani possiamo liquidare in poche parole: «Il calcio non è matematica». E via con gli altri luoghi comuni su come contino di più la psicologia o i giocatori rispetto all'allenatore. La verità è che le statistiche non piaceranno mai a tutti. Come non è mai piaciuto a tutti il Processo del lunedì. Ci sono anche quelli che, il calcio, lo preferiscono intelligente.

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