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Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2014 alle ore 08:14.

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Sempre nel Candelaio, il tema della Fortuna come occasione, come irripetibile opportunità che bisogna afferrare al volo, si manifesta anche nella favola dell'asino e del leone. I due animali, infatti, decidono di andare a Roma e di passare un fiume montando, a turno, l'uno sull'altro. All'andata spetta all'asino. E il felino, temendo di cadere in acqua, «sempre più e più gli piantava l'unghie ne la pelle di sorte che gli penetrorno in sin all'ossa».
Otto giorni dopo, il leone prende su di sé l'asino: «Il quale essendogli sopra, per non cascar ne l'acqua, co i denti afferrò la cervice del leone: e ciò non bastando per tenerlo su, gli cacciò il suo strumento (o come vogliam dire, il tu-m'intendi), per parlar onestamente, al vacuo sotto la coda, dove manca la pelle». Alle vibrate proteste del felino, l'asino risponde: «vedi ch'io non ho altr'unghia che questa d'attaccarmi». La favola, insomma, insegna che «nisciuno è tanto grosso asino, che qualche volta non si serva de l'occasione».
Le pagine eloquenti dello Spaccio e del Candelaio dedicate alla Fortuna, mi sembra inutile dirlo, non hanno niente a che fare con il nostro presente. Eppure, a rileggerle bene, finiscono per stimolare – come ogni buon classico dovrebbe fare – una riflessione critica sul mondo che ci circonda. Non possiamo considerare ingiusto che ci sia un principe, ma è profondamente ingiusto che quel principe sia un furfante.
I recenti eventi di cronaca legati all'Expo 2015 o al Mose, al Monte dei Paschi di Siena o alla Carige, alle mutande di un ex governatore o ai gratta e vinci di anonimi consiglieri regionali non fanno certo pensare al cattivo influsso della Fortuna.
L'orazione della dea bendata non ammette eccezioni: se dall'urna vengono estratti furfanti è solo perché la Virtù, la Sapienza o la Giustizia sono state bandite dalla nostra società fondata sulla folle avidità del guadagno. Solo a noi spetta, insomma, riabilitare quei valori positivi in grado di disinfestare l'urna da ladri e da furfanti e di consentire alla Fortuna di estrarre un principe virtuoso.
Per cui, se non saremo capaci di promuovere quella radicale rivoluzione morale suggerita dalla dea bendata nello Spaccio di Giordano Bruno, sarà perfettamente inutile, come ci ricorda pure Shakespeare, continuare a lamentarci e a imprecare contro l'ingiusto Fato o contro il terribile Destino. Quel Fato e quel Destino contribuiamo a costruirlo noi stessi, stando insieme, giorno per giorno, anche con i nostri gesti e con le nostre azioni più umili.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Anticipiamo una sintesi dell'intervento – intitolato Del buon uso politico della Fortuna – che Nuccio Ordine leggerà martedì 24 giugno alle ore 21 nel teatro Dal Verme a Milano, nell'ambito della Milanesiana, ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi

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