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Questo articolo è stato pubblicato il 03 luglio 2014 alle ore 12:30.
L'ultima modifica è del 03 luglio 2014 alle ore 12:40.

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L'onda lunga del genere vampiresco di tanto cinema e fumetto noir arriva anche a teatro con Luca Ronconi. Che fa della coppia di "Danza macabra" due esseri che non si lesinano morsi sul collo a succhiare la linfa vitale che li tiene ancora in vita. Perverso rituale nel quale attirano un terzo personaggio. "Danza di Morte" (ovvero "Danza Macabra") di August Strindberg, in realtà è un dittico composto da "La Danza Macabra", appunto, e "Der Vampir", il vampiro, allusione al personaggio principale del testo, Edgar, ufficiale fallito, marito cinico e arrogante della dolente Alice, una ex attrice senza talento.

La coppia, che si prepara a festeggiare il venticinquesimo anniversario di nozze, vive la sofferenza di una prigionia obbligata; e l'arrivo del debole e remissivo Kurt, cugino della donna e artefice del loro incontro, giunto per un incarico statale nell'isola, li scuote in un sussulto di vitalità per poi far ricadere, alla sua partenza, ancor più nell'abisso la loro convivenza. Di commedia diabolica trattasi, che vede, ancora una volta, un marito e una moglie vivere come torturato e torturatore, che concepisce l'unione solo del male, nell'odio, nella crudeltà, ma anche nella commedia dell'amore senza il quale la disperazione sarebbe fatale. I due hanno vissuto una vita d'inferno e continuano a viverla rassegnati e convinti che solo la morte potrà separarli, quindi l'aspettano come liberatrice.

Eppure quello che li divide è un odio particolare: quello dell'amore che arriva dagli abissi del cuore, un amore di tipo vampiresco che entra nel destino degli altri per succhiarne il frutto delle esistenze. Un amore basato sulle menzogne, sul culto della volontà, su sotterfugi e giochi verbali che ancora si perpetrano. Come due attori. Tali sono nell'idea, felicemente ironica e divertita, di Ronconi, e quindi bisognosi di pubblico. Unico spettatore - tagliati gli altri due comprimari e parte del testo - Kurt. Al suo arrivo essi si animano, calandosi nel proprio personaggio e nella rispettiva parte. La recitazione, con scansioni di toni e pose volutamente teatrali, con volti di biacca e cambi anche di parrucca, ci immerge in un clima beckettiano, un inferno domestico ma risibile, denso di humour nero. Siamo dentro una recita grottesca innescata dalla presenza del visitatore che farà saltare i cardini di quella vita coniugale all'estremo, e farà riaffiorare in Alice la sua cattiveria e il suo masochismo di donna rapace e violenta, rammaricata di aver abbandonato il teatro per seguire i fuochi fatui di una vita agiata prospettata dal marito ingannatore, e talmente accecata dall'odio per questi da conquistarsi, con fare spensierato e cannibalesco, il timido cugino Kurt, via di scampo dall'oscurità del matrimonio.

Soffierà un forte vento spostando mobili e persone, e vedremo giungere messaggi da un telegrafo quale unico strumento di comunicazione con l'esterno; per poi, alla fuga dell'uomo tutto rientrare nella routine quotidiana, rendendo questi esseri figure spettrali di un mondo immobile, atrofizzati come altri personaggi di Beckett, ormai rassegnati a una vita di reciproche torture. Ronconi, nella bella e livida scena di Marco Rossi illuminata da squarci di luce verdastra, ingombra di mobili neri come anche gli abiti dei protagonisti, li colloca dentro una stanza funerea – la «torre rotonda di una fortezza in pietra grigia», dove la vita si è fermata –, con due finestre ricavate dalla parete, che si apriranno sul nero solo per un breve momento a ricordarci, dal rumore delle onde e di una musica, che fuori c'è il mare e il mondo ai due reclusi negato. Coppia in scena e nella vita, Adriana Asti e Giorgio Ferrara - direttore anche del Festival di Spoleto, e tornato ora a recitare – sono efficaci nel punteggiare come una partitura musicale il loro fitto dialogo, dosando accelerazioni e pause, straniamento e veemenza, con spiritose posture, espressioni e toni. E il Kurt di Giovanni Crippa, damerino timido e premuroso che non può compiere l'abisso fino in fondo, troppo pauroso e raffinato com'è, ben rende quel corpo estraneo ma necessario alle danze, che scompagina il crudele ménage.

"Danza macabra",
di August Strindberg,
traduzione e adattamento Roberto Alonge, con Adriana Asti, Giorgio Ferrara, Giovanni Crippa, regia Luca Ronconi. Scenografia Marco Rossi, costumi Maurizio Galante, luci A. J. Weissbard, suono Hubert Westkemper. Produzione Spoleto57 Festival dei 2Mondi, Teatro Metastasio Stabile della Toscana, in collaborazione con Mittelfest 2014.
A Spoleto, Teatro Caio Melisso,
fino al 6 luglio.
www.festivaldispoleto.com

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