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Questo articolo è stato pubblicato il 06 luglio 2014 alle ore 08:14.
A Napoli regna da sempre il compromesso. Tutto è precario. Dunque vivo. Città di terremoti, caffè e veggenti, raccontata con affetto e lucidità nel celebre romanzo Mosca più balena di Valeria Parrella (Minimum Fax, 2009), Napoli è zona franca di musiche speciali e miserie ordinarie. Dove anche il più colto dei compositori di musiche popolari, un rapper con la vocazione del teatro e un neomelodico devoto possono – e dunque, qui, debbono – convivere. Senza mai frequentarsi, eppure disegnando insieme la mappa del tesoro del luogo più vivo, assurdo e fecondo d'Italia. Dove i gradi di separazione tra Jenny la Carogna, i babà e la Madonna dell'Arco sono meno (molto meno) di sei.
Enzo Avitabile, che di Napoli è l'ambasciatore dei suoni, ne riassume storia e geografie. Ascoltando Black Tarantella (live il 24 luglio prossimo a Lucca), ciò che colpisce non sono tanto gli ospiti illustri, da Pino Daniele a Raiz, da Guccini a Bob Geldolf, da Battiato a David Crosby, quanto il patrimonio sonoro della città che il Maestro (così a Napoli lo chiamano perfino i posteggiatori abusivi) porta nel mondo, da Scarlatti alle tammuriate, alle musiche improvvisate. Enzo sarà protagonista a Umbria Jazz (il 13 luglio) con una banda di dodici fiati per un omaggio proprio alla Madonna Vesuviana. Per i suoi sessant'anni, la prossima primavera uscirà un nuovo e definitivo omaggio a Napoli, con grandi ospiti internazionali e lo sguardo lucido e visionario sulle periferie della città e sulla poesia napoletana. Poi, Universal editerà l'integrale del vecchio materiale discografico, dall'82 al '93.
Quando poi melodia e fede arrivano in strada e la strada è quella che porta da Ercolano a Sant'Anastasia, nascono fenomeni come Pino Santoro, il cantante ufficiale della Madonna dell'Arco, Vergine vendicativa, efficace, misericordiosa. Lo trovate su Youtube, come tutti i neomelodici, fenomeni ultrapop da milioni di visualizzazioni, i cui cd originali sovente nemmeno esistono. Escono direttamente i falsi. Ricordate icone locali come Tony Colombo e Zuccherino, arrestato lo scorso autunno dopo una sparatoria? Lui è diverso. Invisibile altrove (a parte qualche perla online) Pino Santoro canta in strada, nei locali e fuori dalle chiese, con il microfono e due casse amplificate su basi che compone personalmente. Sempre accompagnato dal figlio e dai fedeli, non ha fans, ma devoti. Le sue canzoni sono ex-voto. Durante la Pasqua passa anche quaranta ore a cantare per chi chiede una grazia, senza sosta. Stakanovismo giapponese, nella città della pucundrìa. Pino sarà tra i protagonisti di un film documentario sulla ferita del Paese. Napoli, città di grazia senza giustizia e la sua vergine vendicativa ne sono la metafora precisa.
Mea culpa (Universal, 2013), quarto nella classifica degli album più venduti in Italia, è invece la voce senza filtro del Vesuvio. Clementino, rapper freestyler trentaduenne cresciuto a Spaccanapoli, cinquecentomila fans su Facebook, un alter-ego pseudonimo (I.E.N.A. White) e collaborazioni con Jovanotti, Fabri Fibra, Marracash, canta Napoli, le sue ferite e quella lava di storie che si può sviluppare soltanto nella più vasta periferia urbana d'Europa. Appassionato di teatro napoletano e di calcio, ha scritto il possibile nuovo inno del Napoli (accolto dalle curve, in attesa di essere adottato dalla Società), un omaggio a Napoli e alle sue icone, in primis Maradona. Che alla fine è il vero Santo di questa città a strati e fa' di Clementino qualcosa di non dissimile da Pino Santoro, una voce compiuta di devozione. Destino curioso della città degli idoli. Dove le vite e i suoni si incontrano, senza conoscersi e senza confondersi. Dove le voci sono preghiere, sempre. Fino al prossimo miracolo.
r.piaggio1@me.com
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