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Questo articolo è stato pubblicato il 12 luglio 2014 alle ore 17:35.

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Anche Tommy Ramone, al secolo Tamás Erdélyi, batterista ungherese naturalizzato statunitense, se n'è andato. Con lui scompare l'ultimo pezzo della formazione originaria dei Ramones, leggendaria band che negli anni Settanta rappresentò la spina dorsale della scena punk newyorchese.

Dopo il frontleader Joey (2001, leucemia), il bassista Dee Dee (2002, overdose) e il chitarrista Johnny (2004, cancro alla prostata), pure lui abbandona per sempre il palco: nel referto medico dello Stato di New York datato 11 luglio 2014 (stesso giorno della morte del raffinatissimo genio del free jazz Charlie Haden, ironia della sorte) c'è scritto tumore al fegato. Tommy, con i suoi 62 anni, è stato il più longevo dei quattro.

Forse perché era diverso d'indole, quant'è vero che nel '78, a quattro anni dalla fondazione della band, lasciò lo sgabello di batterista a Markey Ramone, incapace d'abbandonarsi fino in fondo, al pari dei suoi fratelli di musica, a uno stile di vita tagliente ed esagitato come il riff di «Blitzkrieg Bop». Quella punk non era la prima rivoluzione cui aveva avuto modo di assistere: arrivò negli States dalla nativa Budapest nel '57, un anno dopo l'esplosione della rivolta ungherese soffocata dai tank sovietici e si stabilì con la famiglia a Forest Hills, nel Queens, quartiere newyorchese che Stan Lee sceglierà come residenza di Spiderman.

È qui che conosce John Cummings, il futuro Johnny Ramone che, insieme con Douglas Glenn Colvin (destinato a diventare Dee Dee) e Jeffrey Ross Hyman (Joey) sta provando a mettere su un gruppo. Le influenze sono quelle di Beatles, Stooges e surf californiano, apparentemente inconciliabili tra loro: melodie orecchiabili sparate a tutta velocità su un impianto ritmico elementare quanto distorto di chitarra, basso e batteria. Tommy si offre come manager ma presto dovrà arrendersi ai tamburi, perché Joey è tanto esuberante quanto tecnicamente limitato, meglio metterlo a cantare.

I quattro detestano passare inosservati e allora s'inventano fratelli, adottano lo pseudonimo che Paul McCartney utilizzò alle prime esperienze con i Fab Four (Paul Ramone) e scelgono per look caschetto, occhiali scuri e jeans sfatti, attributi dei primi Velvet Underground. Il Cbgb, fumoso localaccio del Lower East Side, li tiene a battesimo nel ‘74 e da quel momento in poi non li ferma più nessuno: i Ramones debuttano due anni più tardi con l'album omonimo in netto anticipo sull'apoteosi del punk inglese e poi infilano la straordinaria doppietta «Leave me home»-«Rocket to Russia».

A quel punto Tommy decide di farsi da parte, un po' perché non regge i ritmi di vita dei suoi sciagurati compagni d'avventura, un po' perché in tour continua a essere vittima dei loro terribili scherzi da caserma. Collaborerà come produttore ai successivi «Road to Ruin» e «Too Tough to Die» guadagnandosi una certa reputazione nell'ambiente. Non è un caso se lo chiameranno dietro la consolle gente del calibro di Replacements e Talking Heads. Nell'ultima fase della sua vita, suonava il mandolino e cantava negli Uncle Monk, un duo country-bluegrass fondato con la moglie Claudia Tienam con cui ha pubblicato un album omonimo nel 2006. Disco genuino di musica tradizionale americana, da riscoprire. Ascoltatelo con attenzione, se v'interessa comprendere quanto Tommy fosse idealmente distante dagli altri Ramones.

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