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Questo articolo è stato pubblicato il 13 luglio 2014 alle ore 08:14.

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Flavius Magnus Aurelius Cassiodorus Senator: così recitava il sontuoso, ideale biglietto da visita del personaggio di cui stiamo interessandoci. Per qualche lettore, però, rimane un Carneade cristiano: eppure, nella sua città, la calabrese Squillace, opera ancor oggi un "Istituto di Studi su Cassiodoro e sul Medioevo in Calabria" e si assegna un premio in suo onore. Ma – e questo sorprenderà ancor di più il nostro lettore ignaro – nel 1979 l'editrice dell'università di California pubblicava la biografia Cassiodorus con una bibliografia di oltre mille titoli su di lui. Anzi, l'autore James O'Donnell, a partire dal 1993, decise di allestire un'edizione ipertestuale informatica dell'opera che da allora viene ininterrottamente aggiornata. Ancora: nel 2009 uno dei nostri storici più letti, Franco Cardini, volle in proprio abbozzare un ritratto biografico del Nostro e il titolo era già un programma: Cassiodoro il Grande. Roma, i barbari e il monachesimo (Jaca Book).
Devo confessare che il mio interesse per questa figura nacque casualmente e in forma improvvisata: mi conquistò, infatti, la citazione approssimativa di una frase folgorante delle sue Institutiones divinarum litterarum. Essa, più o meno, diceva così: «Se continueremo a commettere ingiustizia, Dio ci lascerà senza la musica!». Certo è che Cassiodoro – oltre che uomo politico (come figlio d'arte), prefetto del pretorio e consigliere (come lo era stato Boezio) del re ostrogoto Teodorico (scrisse anche una perduta Historia Gothorum) – fu un raffinato intellettuale, soprattutto a partire dal 536, quando iniziò a brillare l'astro alternativo e vittorioso del bizantino Giustiniano. Quell'anno, infatti, segnò una svolta radicale nella sua lunga vita, giunta a metà del suo corso (era nato tra il 485 e il 490, morirà attorno al 580/585).
Da allora il senatore si dedicò integralmente agli studi, sognando con papa Agapito di fondare a Roma una sorta di università teologica con annessa biblioteca, progetto frustrato dalle contingenze belliche di quegli anni che, tra l'altro, lo convinsero a trasferirsi a Costantinopoli per una decina d'anni, godendo di un certo prestigio anche presso Giustiniano. Fu in quel soggiorno che egli compose un'opera esegetica importante, l'Expositio Psalmorum, nella linea dell'approccio agostiniano a un così celebre libro biblico.
Fu questa per me l'occasione per un incontro testuale con Cassiodoro e la conseguente scoperta di un autore di qualità. Uno scrittore che, però, conservava l'impulso operativo del politico, tant'è vero che proprio nei suoi possedimenti di Squillace, attorno al 550, fonderà quel Vivarium capace di unire in sé la dimensione monastica e spirituale e quella squisitamente accademica e intellettuale.
Così, i monaci intrecciavano alla liturgia e alla preghiera la trascrizione dei testi sacri e profani e lo studio, secondo quelle regole che il fondatore aveva delineato nelle citate Institutiones. Frattanto egli continuava la sua ricerca che proseguirà fino alle soglie della morte: la sua ultima opera fu composta quand'egli era ultranovantenne e curiosamente trattava un argomento linguistico, il De orthographia. Se questo fu l'ultimo scritto, a partire dalla "conversione" del 536, il primo fu invece quel De anima che ora viene proposto, col testo latino a fronte, in una versione italiana commentata da Antonio Tombolini dell'università della Svizzera Italiana, con una bella e convincente presentazione del teologo Inos Biffi, direttore della collana "Biblioteca di Cultura Medievale" al cui interno l'opera è collocata. Il trattato affronta un tema che ha appassionato la stessa filosofia e la teologia classica, prima, e cristiana, poi.
In Cassiodoro, tuttavia, il percorso ideale non è freddamente teorico perché – come osservava Ilario Tolomio, uno studioso che ha affrontato e vagliato i principali Trattati sull'anima dal V al IX secolo (Rusconi 1979) – nel De anima «psicologia, antropologia e teologia si saldano insieme, dando un significato schiettamente religioso a tutta l'esistenza dell'uomo», così che il trattato assume anche «il carattere di un'autentica "conversione" di vita oltre che costituire un prezioso testamento, quasi un manualetto sempre a portata di mano, da lasciare agli amici della corte gotica, prima di ritirarsi dal mondo». Ed effettivamente la mappa tematica dello scritto potrebbe essere letta a trilogia, spaziando oltre il tema indicato dal titolo.
Certo, si parte con le questioni specificamente teoriche, lasciando largo spazio alla definizione, alla natura, all'origine e alla sede dell'anima. Poi, però, si incastonano nella trama alcuni interrogativi più generalmente antropologici (le virtù naturali e morali, la corporeità, una curiosa guida per «riconoscere i malvagi e i buoni»), fino ad approdare all'escatologia, alla contemplazione trinitaria e a una straordinaria preghiera finale. Giustamente Inos Biffi nella sua introduzione considera questa invocazione a Cristo «un capolavoro che richiama gli accenti delle orazioni cristologiche che costellano la prosa di sant'Ambrogio e di san Bernardo o le preghiere che impreziosiscono le Instructiones di san Colombano o anche le Orationes di sant'Anselmo d'Aosta».
È in queste ultime righe oranti che si intuiscono in filigrana i fremiti che condussero Cassiodoro ad abbandonare la carriera e i compromessi della politica per dedicarsi a un ideale più alto, passando in tal modo dallo statuto del peccatore all'ascesa verso la santità: ex servis filii, ex impiis iusti, de captivis reddimur absoluti. Il passato è, quindi, visto come schiavitù, empietà, prigionia e l'orizzonte che ora si spalanca davanti alla nuova creatura è intimità filiale, giustizia salvifica e libertà interiore.

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