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Questo articolo è stato pubblicato il 13 luglio 2014 alle ore 08:15.

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Gianni Volpi, scomparso a Torino nell'autunno scorso, era un critico e organizzatore culturale di prim'ordine. Il suo nome è legato alla rivista «Ombre rosse», che durò poco ma ebbe grande importanza, negli anni subito prima del '68. (Oggi la si può vedere parzialmente antologizzata insieme alla sorella-rivale «Cinema e film», nel libro Barricate di carta. "Cinema e film" e "Ombre rosse", due riviste intorno al '68, pubblicato da Mimesis). Ma Volpi, con la sua attività nei cineclub AIACE, è stato anche un punto di riferimento per generazioni di registi, torinesi e non, e ha allevato e seguito tanti critici. Attento al cinema italiano contemporaneo e agli autori giovani e giovanissimi, attraverso retrospettive e monografie. Una sua impresa è stata la creazione del Cnc, il Centro nazionale del cortometraggio che negli anni ha osservato crescere alcuni dei nostri migliori registi e ha riportato l'attenzione verso la "forma breve" nella storia del cinema.
Qualche anno fa, Volpi aveva pubblicato per Dino Audino una utilissima Guida alla formazione di una videoteca, che conteneva le schede critiche di centinaia di film indispensabili della storia del cinema. Adesso arriva in libreria una scelta di quelle schede, integrate e aggiornate da nuove voci di Goffredo Fofi e Paolo Mereghetti. I film da vedere a vent'anni, questo il titolo del libro, sceglie oltre 200 titoli per una cultura cinematografica di base, da una ventina di titoli del muto ai 32 degli anni 2000. Uno sbilanciamento in avanti più che giustificato, tenendo conto del destinatario ideale, che dovrebbe essere, se non proprio un giovane in senso letterale, qualcuno che va alla scoperta del cinema a partire dall'interesse per il presente. La seconda parte del libro, a cura di Livio Marchese, rilegge i momenti centrali della storia del cinema per generi e temi, da «Capitalismo e denaro» a «Documentario e docufiction» a «Religione e trascendenza», e ha dunque una valenza più didattica, mentre la lettura delle schede dei film è come sempre, per il lettore, anche un gioco a «perché questo e non quello?» o «ce l'ho, mi manca».
Il volume non è però, o non solo, l'omaggio a un critico e amico scomparso, ma soprattutto un'operazione utilissima. È strano che non esistano altri libri come questo, oggi che la cinefilia ormai è per così dire esplosa e scardinata. Con le nuove modalità di fruizione il cinema del passato viene visto in maniere trasversali, senza canone, e la stessa idea di "classici del cinema" sembra sempre più sfuggente. Tentare, attraverso le schede, un racconto della storia del cinema, un percorso che orienti e che spieghi le tappe fondamentali, è proprio per questo una necessità per molto pubblico colto, giovane e meno giovane. E lo sguardo di Volpi e co. è riconoscibilmente quello di una cinefilia attenta alle ragioni storiche e sociali, di un gusto stilistico assai raffinato (e di una prosa altrettanto cesellata): un'impostazione lontana dal mero contenutismo, ma che non rinuncia a chiarire gli intrecci con le altre arti e con la società. Non c'è alcuna pedanteria in queste schede, e invece si sente spesso palpitare la passione di una e più generazioni per le quali il cinema è stato un elemento fondamentale della propria formazione. E, pur in una scelta così essenziale, non mancheranno le sorprese per chiunque, e le possibilità di scoprire gioielli nascosti. Certo, ci sono Rossellini, Chaplin o Hitchcock, Totò a colori o A qualcuno piace caldo, o i grandi spettacoli da Via col vento a Reds. Ma si troveranno ottime ragioni per considerare tra i film imprescindibili, ad esempio, l'horror inglese Dead of Night (1945), il cinese Primavera in una piccola città (1948), i film giapponesi di Mikio Naruse o Tomu Uchida, o l'egiziano Stazione centrale (1958) di Yusuf Shahin, o il capolavoro dimenticato di Peter Brook, Tell Me Lies, uno dei più bei film del/sul '68, riemerso solo di recente. Saggiamente, insieme ai lungometraggi di finzione stanno i cortometraggi e i documentari. Particolarmente interessanti i titoli degli autori attivi in Unione Sovietica dagli anni Sessanta in poi: Mikhail Romm ed Elem Klimov, Vasilij Suksin, Artavasz Pelesjan, il grandissimo Vitali Kanevskij di Sta' fermo, muori e resuscita (1989). E anzi, a voler chiudere segnalando un nome da riscoprire, diremmo l'inglese Peter Watkins, di cui vengono citati The War Game (1965), finto documentario sulla guerra atomica, e La Comune (1999), film storico-teatrale-televisivo-epico-documentario che rievoca la Comune di Parigi e riflette sulle forme della sua rappresentazione. Due titoli che mostrano le mille potenzialità del cinema, ancor più affascinanti oggi che esso si disperde e si contamina con mille altre forme di espressione e fruizione delle immagini in movimento, cercando di non smarrirsi.
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Gianni Volpi, I film da vedere a vent'anni, Edizioni dell'asino, Roma, pagg. 250, € 16,00

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