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Questo articolo è stato pubblicato il 13 luglio 2014 alle ore 08:14.

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Giunsero persino in dono al Duce, quei sette ritratti dipinti su tondi in terracotta che circolavano nel mercato antiquario siciliano. Ritratti strani, dai colori brillanti come non s'erano mai visti prima, ma ingannarono l'archeologo Giulio Emanuele Rizzo che nel 1940 li descrisse come preziose pitture ellenistiche di III secolo a.C. E Mussolini intanto li aveva già donati con grande cerimonia al Museo archeologico di Napoli, mentre il primo donatore, tale Giovanni Rasini che li aveva acquistati in Sicilia a caro prezzo (250mila lire), aveva ottenuto da lui il sospirato titolo di conte. Fu una beffa grandiosa, uno dei più famosi "scherzi archeologici" della storia. Anche perché ci fu in effetti chi gridò al falso: Carlo Albizzati, rinomato "smascheratore" di falsi archeologici, che si trovò per questo querelato da Rizzo. E per tutti gli anni Quaranta del secolo scorso, gli studiosi d'arte antica si trovarono divisi in due schieramenti pronti a scontrarsi nelle accademie come nei tribunali. Persino Ranuccio Bianchi Bandinelli depose in tribunale a favore dell'autenticità dei tondi: pensava invero che fossero stati ritoccati di recente, ma comunque autentici. La disputa si placò nel 1950 per decesso dei due protagonisti, ma solo le successive analisi chimico-fisiche dei pigmenti acclararono definitivamente il falso. Nessuno però, allora, era riuscito a smascherare il falsario, e solo oggi ne scopriamo finalmente l'identità grazie alle indagini di Giacomo Biondi, archeologo dell'Istituto per i beni archeologici e monumentali (Ibam) del Cnr. Per ironia della sorte, il falsario porta il suo stesso cognome: Antonino Biondi, ricettatore oltre che falsario, attivo a Centuripe, in provincia di Enna, nella prima metà del secolo scorso. Giacomo ha potuto esaminare il suo taccuino di lavoro per gentile concessione degli eredi, e ha riconosciuto negli schizzi la stessa mano che dipinse i tondi: «Antonino era furbo: non ha copiato dall'antico ma ha creato uno stile proprio», spiega Giacomo. Allora gli archeologi avevano così pochi punti di riferimento per giudicare la pittura antica, che era facile ingannarli. Ma Antonino li ingannò su tutto, non solo sui tondi: quelli furono solo un vezzo da grande maestro imbattibile. In realtà ha venduto a man bassa le sue riproduzioni delle famose terrecotte dell'antica Centuripe, spacciandole per vere, e oggi ne sono pieni i musei del mondo.
Al museo di Siracusa c'è l'originale di una testa di Sileno mentre in quello di Centuripe c'è la sua copia, e con la medesima matrice di Antonino i suoi discendenti hanno prodotto per decenni copie (acclarate) da vendere ai turisti. Anche un amorino del Metropolitan di New York, lì descritto come proveniente dall'Asia Minore, è uguale a una statuetta falsa del museo di Centuripe. Mentre un'Afrodite al bagno del museo Getty di Malibu, anch'essa spacciata per microasiatica, assomiglia molto a dei falsi documentati in foto appartenute ad Antonino. E un gruppo con ninfa e tritone di una collezione privata olandese, che si diceva trovato a Taranto, assomiglia anch'esso a una foto di Antonino. Lui lavorava così: faceva calchi degli originali, proteggendoli col sapone per non rovinarli, e poi vendeva sia gli originali che le copie, spacciandole per vere. Quindi le opere sopra citate non sono necessariamente dei falsi: alcune di esse potrebbero essere anche originali, ma ora sappiamo con certezza che provenivano da Centuripe. È questo un luogo dove la città moderna si è sovrapposta così precisamente all'antico, che i suoi abitanti trovavano le antichità praticamente in cantina. Così è diventata patria rinomata di tombaroli sin dagli albori del secolo scorso, e i falsari vi prosperarono al punto che già nel 1924 il soprintendente Paolo Orsi confessava la propria impotenza, e metteva in guardia dall'acquisto i musei di tutta Europa. Aveva inoltre capito quanto fosse difficile, a quei tempi, far valere la legge del 1909 che sanciva la proprietà statale degli oggetti rinvenuti nel sottosuolo.
E per salvarli dall'espatrio, lui li acquistava dai proprietari dei terreni, magari minacciandoli di applicare quella legge per spuntare un prezzo migliore. Ma così facendo incentivava di fatto la spoliazione. Graziella Buscemi dell'Università di Catania ha studiato le lettere scritte da Orsi a Guido Libertini che lui stesso aveva spinto a svolgere indagini a Centuripe, ed è emerso un mondo di rapporti piuttosto oscuri: Libertini era ricco e spesso acquistava di persona le antichità, nell'attesa che Orsi reperisse fondi statali; Orsi denunciò a un certo punto la "famosa banda Biondi EC", mentre Libertini diveniva così amico di Antonino da tenerne a battesimo una figlia. Ciò nonostante, Antonino lo gabbava rifilandogli falsi a non finire.
Queste storie sono infatti il frutto del recente studio della collezione privata di Libertini, da lui donata all'Università di Catania e finora pressoché inedita. Una collezione che si potrà ammirare per la prima volta nel prossimo autunno quando aprirà il Museo di archeologia dell'Università, nato d'intesa con il direttore dell'Ibam-Cnr Daniele Malfitana per offrire una "palestra" agli studenti dell'università consentendo loro di collaborare con i ricercatori del Cnr per lo studio dei pezzi. Anche ora, infatti, solo la collaborazione intensa tra gli archeologi e i fisici e chimici di Cnr e Infn ha consentito di identificare i falsi e i ritocchi moderni su oggetti antichi. «Ma siamo solo agli inizi», dice Giacomo Biondi. «Abbiamo colto la punta di un iceberg. I falsi di Centuripe sono andati veramente ovunque nel mondo: ne vedremo delle belle».

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