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Questo articolo è stato pubblicato il 20 luglio 2014 alle ore 08:15.

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L'ottimo manuale Libertà di rischiare di Filippo Gamba pubblicato da Versante Sud vorrebbe ribaltare i vecchi criteri della sicurezza in alpinismo, arrampicata e altri sport d'avventura applicando con rigore ingegneristico anche all'outdoor i metodi di "gestione del rischio" adottati in ambito aziendale. Fin dal titolo, il libro si propone di accrescere la libertà di rischiare insegnando agli sportivi estremi nuove regole più rigorose di autogestione per evitare il ripetersi di incidenti. Per non destare scandalo nell'opinione pubblica e quindi scongiurare il rischio (!) che il legislatore si intrometta con norme e divieti. Infatti da una parte la società e la gente pretende sempre più sicurezza, dall'altra alpinisti, freeriders, climbers e soci si spingono sempre più in là verso i limiti, ma sentono che la loro facoltà di rischiare è messa in discussione, minacciata. Di recente il noto alpinista Alessandro Gogna ha fondato, con la benedizione del Cai, un "Osservatorio per la libertà in montagna e alpinismo" per rivendicare il diritto ad affrontare senza intralci le incognite della natura selvaggia, come un diritto culturale.
Il principio mi sembra sacrosanto, ma quando la licenza di rischiare si spinge alla pratica del free solo mi sorgono seri dubbi. Free solo vuol dire "da solo in libera", sottinteso arrampicata. In libera a sua volta significa – meglio spiegarsi bene – senza corda, chiodi o altri aggeggi per assicurarsi mentre si sale, o per tirarsi su nei passaggi più ostici, e neppure per sostare un momento a riposare le braccia tetanizzate dallo sforzo. Niente di niente, senza rete, come un acrobata sul filo sopra l'abisso.
L'esempio più celebre e impressionante è quello di Alex Honnold visto tre mesi fa al filmfestival della montagna di Trento. Nella serata attesissima a lui dedicata il ventottenne americano di Sacramento ha mostrato alcuni filmati di free solo da lui interpretati. L'arrampicatore è solo lassù nel vuoto, a qualche centinaio di metri da terra, in mezzo all'immensa muraglia di roccia liscia e verticale. Per mettersi in salvo va su aggrappandosi con i polpastrelli lungo un'esile fessura che incide tutta la parete. Ai miei tempi, trent'anni fa anch'io ho affrontato – in cordata – l'americana al Dru nel gruppo del Bianco e la via dei Fachiri sulle Dolomiti temute per i pochi chiodi. Credo di sapere cos'è il rischio in parete, ma questa mi sembra una deliberata follia, una danza macabra. Mentre i suoi commenti sul palco minimizzano, come se fosse tutto normale. Per i suoi modi umili e modesti lo chiamano Alex No Big Deal, "Niente-di-speciale".
Invece ogni spettatore inchiodato alla poltrona è in ansia per lui perchè basterebbe il minimo errore e il nostro eroe non avrebbe scampo. Volerebbe dritto come un sasso per qualche centinaio di metri, andandosi a sfracellare in fondo alla parete. Ma tranquilli! Non succederà perché Honnold è qui a Trento vivo e vegeto, perché stiamo vedendo dei video ad alto tasso di suspence, ma con lieto fine garantito. Infatti i video di free solo che ci impressionano per l'assenza di corde e ancoraggi di protezione e per il vuoto drammatico che circonda l'arrampicatore nascondono sempre l'ambiguità del set, lo staff fuori campo che gira il video.
Dopo i video fuori del comune che strappano scrosci di applausi al pubblico di Trento, il fortissimo climber che è un bravo ragazzo, dall'aria mite e un po' frastornata, si concede alle domande. E qui assisto a un comportamento che mi lascia impressionato non meno dei video: degli 850 e passa spettatori che gremiscono l'auditorium S. Chiara di Trento nessuno che osi pronunciare le parole paura o morte. I commenti e i quesiti proposti sono vaghi, evasivi. Solo l'ultima domanda prima di chiudere sfiora cautamente la questione chiave: «Tua madre e la tua ragazza che dicono del tuo stile?». Risposta laconica e conclusiva: «Questo per me non è un problema». E giù applausi da far crollare la sala.
A quanto pare nessuno vuole accorgersi del rischio immediato di morte che comporta il free solo. Neppure i club alpini che tanto predicano sulla prudenza e sicurezza in montagna, osano discutere e scoraggiare questa pratica estrema che sembra un moderno gioco gladiatorio offerto alle masse attraverso Youtube e i festival di alpinismo. Siamo di fronte a una rimozione collettiva. O meglio, a una "dissonanza cognitiva" come mi suggerisce il manuale dell'ingegner Gamba. In parole povere, Alex No Big Deal accampa nobili ideali per negare l'evidenza di una pratica pazzesca, praticata a beneficio della platea.
Se la licenza di rischiare porta al free solo sistematico solo per girare video, temo che l'evoluzione dell'arrampicata sia prossima al suo capolinea. Nei confronti del rischio totale del free solo tutte le raffinate analisi della "gestione del rischio" dell'ingegner Gamba servono a ben poco. Il giovane Alex che vive girando l'America con il suo furgone per arrampicare in free solo come se fosse una necessità naturale non è piuttosto un vistoso caso clinico? la vittima di una dipendenza fenomenale che deve suscitarci più dubbi che ammirazione?
crivelp@libero.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Filippo Gamba, Libertà di rischiare. Gestione del rischio in alpinismo, arrampicata e negli sport d'avventura. Versante Sud, Milano, pagg. 232, € 29,50

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