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Questo articolo è stato pubblicato il 25 luglio 2014 alle ore 15:05.
L'ultima modifica è del 27 luglio 2014 alle ore 18:18.

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Nel pieno di un'estate piovosa, quando di solito si trovano solo titoli che sfigurerebbero anche se consegnati alla sola uscita home video, in questo 2014 troviamo ben due sorprese. La prima è di sicuro Anarchia – La notte del giudizio. Aveva sconvolto in parecchi già The Purge (qui tradotto con La notte del giudizio), ora James DeMonaco torna a raccontare un futuro distopico in cui la violenza è stata sconfitta abdicando ad essa per un giorno all'anno in cui tutto è permesso, in cui anche l'omicidio più efferato è legale: incanalare la violenza del mondo in poche ore per debellarla il resto dell'anno, ecco la ricetta per combattere la criminalità di questo nuovo mondo. DeMonaco torna sul luogo (e nel giorno) del delitto, soprattutto perché nel primo capitolo aveva fatto spendere 3 milioni di dollari incassandone 90. Ma non cade nella trappola del sequel preconfezionato: rovescia il campo di gioco – nel precedente tutto si giocava in una casa, ora tutto fuori – e acuisce la metafora politica e sociale insieme a citazioni cinematografiche e ispirazioni. C'è Carpenter, e molto, ovviamente. Ma ci sono anche i recentissimi In Time e Hunger Games, a sottolineare un mondo che sta correndo verso il totale annullamento del valore della vita umana. La regia di DeMonaco è più matura, anche se gode nel regalarci un B-Movie d'alto livello. Un ossimoro che solo questo talento decisamente interessante può risolvere. Alla grande.

La seconda sorpresa è Mistaken for Strangers, titolo respingente per un documentario geniale. Come può esserlo solo la famiglia. E la vita. Già, perché il soggetto del racconto è un gruppo musicale mitico, cult ma solo recentemente divenuto famoso. I The National, che suona rock impegnato e indipendente, che ha messo anni a farsi conoscere davvero. E in tour Matt Berninger, il cantante, decide di portarsi il fratello Tom. Più piccolo, aspirante regista horror, un filo frustrato dal successo del parente. E ovviamente, in questo Almost Famous tutto in famiglia, le reazioni sono estremamente più ruvide, così come la presa di coscienza e la (de)responsabilizzazione del piccolo, che con la sua macchina da presa vorrebbe riprendere il gruppo, ma in verità cerca se stesso. Ne esce fuori ben più di un documentario, un'opera variegata e sensibile su cos'è un nucleo familiare, un rapporto virile e un "lavoro" collettivo come lo è un tour. E soprattutto sul fatto che portarsi un fratello minore in uno degli eventi più importanti della tua vita, qualche controindicazione la presenta (soprattutto se il buon Tom oltre che il regista, fa lo scapestrato). Difficile non appassionarsi, per la qualità visiva e narrativa di un prodotto difficilmente classificabile, ma da promuovere a pieni voti.

Meno interessanti, di sicuro, le commedie Delivery Man e 22 Jump Street. La prima l'abbiamo vista già nella versione "originale" Starbucks e ora torna "all'americana", con il remake che vede come protagonista Vince Vaughn. La storia è quella di un uomo che per un errore della banca del seme in cui fece vari depositi in gioventù, ora si ritrova padre di 533 figli. Ovviamennte tutto è virato sulla parte comica della questione, soprattutto perché il protagonista si presta. Si perde così gran parte della riflessione sulla paternità, sul precariato sentimentale di un uomo immaturo alle prese con qualcosa di troppo grande da comprendere. Rimane solo una visione elementare di una disavventura improbabile. Si sorride e ci si diverte, ma niente di più. Un po' meglio 22 Jump Street che, in teoria, doveva essere il prodotto più stanco di questo fine settimana. Sequel di una pellicola che a sua volta era stata tratta da una serie tv, mantiene la sua freschezza anche grazie a una coppia che speriamo di rivedere, tanto è ben amalgamata ed efficace. Channing Tatum e Jonah Hill, che negli ultimi due anni hanno visto le loro carriere decollare, sono due poliziotti che si infiltrano all'università (e non più al liceo). Action comedy, buddy movie e college movie si mescolano con profitto. Il ritmo è buono, la recitazione pure, le idee di sceneggiatura sanno come conquistare lo spettatore. Basta per far rimanere attaccato alla poltrona anche lo spettatore più distratto.

Chiudiamo con Io Rom Romantica. Laura Halilovic aveva ben impressionato con Io la mia famiglia Rom e Woody Allen. Cinquanta minuti deliziosi in cui questa cineasta rom scavava con levità e bravura nella sua famiglia e nella difficile integrazione. In Italia, a Torino, nella stanzialità di chi non vi è abituato. Quel racconto qui diventa fiction e si trasforma in una fiaba troppo elementare, con dialoghi banali e mai unn guizzo di regia o nell'elaborazione della struttura narrativa. La verità non esce, l'emancipazione di un'adolescente indipendente sembra una parabola da serial televisivo. Peccato, perché il punto di partenza era ottimo. E l'appiattimento della cultura Rom è ciò che meno ti aspetti da chi da lì proviene, anche se il tentativo è quello di virarlo su una commedia melodrammatica che ne sfrutta le stranezze. Troppo poco per riuscire a conquistare chi guarda il film.

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