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Questo articolo è stato pubblicato il 03 agosto 2014 alle ore 08:15.

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Jean Pierre Léaud fa settant'anni e Locarno lo festeggia. Se lo merita, per le tante belle occasioni che la sorte e il suo acume gli hanno offerto e per aver superato bene la prova dell'età, dopo, credo, non poche difficoltà psicologiche, perché l'uomo Léaud ha durato anche lui fatica a diventare adulto, e ha attraversato forse qualche inferno, come i suoi personaggi.
Ha raggiunto la fama adolescente grazie all'Antoine Doinel che Truffaut gli ha cucito addosso in ben cinque film, da I 400 colpi, 1959, quando era tra i 14 e i 15 anni, e L'amore fugge, di vent'anni dopo, ma è stato anche il nevrotico protagonista di tanti film di Godard e di altri registi della nouvelle vague non solo francese.
Ho un ricordo personale da offrire al lettore, di molti anni fa: lo vidi un giorno riverso su una panchina dei giardini di Luxenbourg che si agitava e lamentava, e lo accompagnai in un bar all'angolo col boulevard, dove un garçon che lo riconobbe si prese cura di lui, evidentemente ubriaco o forse drogato, anche se eravamo ancora a metà giornata.
Si era sul finire degli anni Settanta, quando le speranze del '68 erano tramontate da tempo e un'intera generazione faceva fatica a trovare una strada, obbligatoriamente individuale, nella malinconia di una sconfitta collettiva male accettata.
Léaud veniva dal mondo del cinema, il padre era uno sceneggiatore e la madre, Jacqueline Pierreux, era l'avvenente interprete anche di qualche film italiano negli anni delle coproduzioni (Donne e briganti, Il seduttore, La rimpatriata...).
Oltre che attore è stato un valido collaboratore di molti registi in veste, non sempre riconosciuta nei credits, di aiuto regista.
I 400 colpi segnò il suo destino, e la sequenza finale del film, la lunga corsa verso il mare dopo la fuga dalla casa di correzione (una scena suggerita a Truffaut da un grande educatore, Fernand Deligny, l'autore di I vagabondi efficaci) è rimasta tra le più celebri della storia del cinema e, va da sé, della nouvelle vague.
La serie degli Antoine Doinel, crescendo Léaud, prese la direzione della commedia sentimentale partecipe, forse un po' compiaciuta nella presentazione dei piccoli problemi di tutti. Seppe piacere ai pubblici più diversi e soprattutto a un ceto medio europeo sempre più diffuso, nella scomparsa o riduzione del proletariato; e si trattò in definitiva di film che accettavano il mondo com'era, e in essi il protagonista cercava un proprio spazio, preoccupato anzitutto del suo star bene affettivo.
Ma al contrario di quest'immagine, pur sottilmente nevrotica, nei film che Léaud interpretò per Godard – Il maschio e la femmina, La cinese, Week end, La gaia scienza, su fino a Detective che è del 1985... – Léaud accentuò un lato più radicale del suo disagio, e fu questo aspetto che prese via via il sopravvento: quello di un nevrotico dalla gestualità più disordinata e a volte quasi meccanica, di un insoddisfatto perenne, di qualcuno che non accetta il mondo com'è e non vi si trova affatto a suo agio.
Le sue interpretazioni più autentiche, a mezza via tra Truffaut e Godard, sono forse quelle per La maman et la putain di Eustache (1973), per L'amore fugge di Truffaut (1979, dove infine il disorientamento post '68 si fa evidente) e per Il pornografo di Bonello (2001), un film sottovalutato che esprimeva sfiducia per il cinema e per la società così come sono diventati e il cui protagonista si muoveva in una sorta di malinconica follia da sconfitto e non-riconciliato.
Léaud ha recitato anche, più da attore-feticcio (della nouvelle vague) che da attore, per Rivette e Varda, per Pasolini e Bertolucci, per Skolimowski e infine per Kaurismaki nei due suoi film migliori tra gli ultimi, Ho affittato un killer e Vita da bohème: una bella adultità, con un regista fraterno. In The dreamers (2003) di Bertolucci, immagine non proprio profonda del '68, recitava nella parte di se stesso. Ed è questo che è rimasto: uno del '68, che ha reagito alla disfatta con un disorientamento che è stato di tutti, ma trovando infine riscatto nel suo lavoro, praticato con molta onestà e con grande intelligenza.
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la rassegna
L'attore francese Jean-Pierre Léaud verrà omaggiato con un Pardo alla carriera alla 67ª edizione del festival del film di Locarno (dal 6 al 16). La consegna del premio all'interprete-feticcio di François Truffaut avrà luogo mercoledì 6 agosto in piazza Grande alle 21. Ad aprire la rassegna sarà il nuovo film di Luc Besson, Lucy, con Scarlett Johansson. Fra gli ospiti, Mia Farrow, Juliette Binoche, mentre sono una ventina i titoli in concorso, su cui si esprimerà la giuria presieduta da Gianfranco Rosi. Il 12 agosto sempre in piazza Grande sarà consegnato il premio Execellence award al nostro Giancarlo Giannini. www.pardolive.ch

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