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Questo articolo è stato pubblicato il 03 agosto 2014 alle ore 08:14.

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In giorni in cui l'eco del dibattito suscitato da women against feminism negli Stati Uniti è arrivata in Italia (dove nel frattempo il tormentone Tavecchio infuria anche a proposito delle donne e non solo dei calciatori «mangiatori di banane»), è tanto più utile la lettura del libro di Carol Gilligan, La virtù della resistenza. Resistere, prendersi cura, non cedere.
Un saggio in cui la psicologa e studiosa americana sviluppa e porta a compimento il discorso iniziato trent'anni fa in Con voce di donna. Etica e formazione della personalità (edito in Italia da Feltrinelli nel 1987), ascoltando le testimonianze di ragazze intervistate in anni di ricerca. Resistere a che cosa? ci si chiede immediatamente. «Alle dicotomie prescritte e imposte socialmente», scrive Gilligan, mostrando come le adolescenti si oppongano a un percorso fissato dalla società e culturalmente definito che le vorrebbe sottomesse, pronte a defilarsi per non essere tacciate di egoismo. E invece «la cura, il prendersi cura non sono istanze delle donne, interessano l'umano»: il che, sostiene l'autrice, in una visione patriarcale non è riconosciuto perché in quell'universo di genere la cura è un'etica femminile, «è quello che fa una donna virtuosa, e le persone che lo fanno stanno facendo un lavoro da donna. Si dedicano agli altri, sono sensibili ai loro bisogni, attente alle loro voci. Sono altruiste». Il superamento di questo concetto risiede nel superamento del patriarcato e dunque in un approccio democratico, secondo cui «prendersi cura esige attenzione, empatia, ascolto, rispetto (...). È un'etica relazionale basata su una premessa di interdipendenza. Non è altruismo».
Nel libro Gilligan racconta un episodio che si rivela di grande attualità e che la coinvolge in prima persona. Risale alla primavera del 2009. La scena è quella del XX raduno dell'Harvard Women's Leadership Project, lei è lì a condurre il dibattito e improvvisamente l'aria si fa tesa: «Ti consideri una femminista?», le chiede una partecipante, al culmine di una spaccatura tra alcune dedite alla carriera che rivendicavano la loro emancipazione, e altre che esprimevano disagio di fronte all'accusa che stare a casa significasse "non lavorare" e "sprecare la propria istruzione". «Risposi di sì e dissi che consideravo il femminismo uno dei grandi movimenti di liberazione che hanno avuto luogo nella storia dell'umanità. Il movimento che vuole liberare la democrazia dal patriarcato». Dopo la sua risposta, netta quanto pacata, gli animi si calmarono, si proseguì con ben altro spirito: «Le donne parlarono di conflitti relazionali, non solo tra loro ma anche con gli uomini» perché, commenta Gilligan, «dal mio punto di vista il femminismo non è un'istanza delle donne o degli uomini o una lotta tra donne e uomini». Questo è un punto molto importante, se non dirimente, che fa sì che la discussione non diventi sterile né ideologica (quindi improduttiva, sul piano dei risultati).
E conclude: «Finché le qualità umane saranno divise in maschili e femminili, saremo separati le une dagli altri e da noi stessi e continueremo a disattendere la comune aspirazione all'amore e alla libertà».
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Carol Gilligan, La virtù della resistenza. Resistere, prendersi cura, non cedere, Moretti & Vitali, Bergamo, pagg. 168, € 16,00

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