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Questo articolo è stato pubblicato il 03 agosto 2014 alle ore 08:14.

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Considerato come il più intelligente e colto politico dell'epoca liberale, con una vita pubblica lunga e importante, Sidney Sonnino è ricordato soprattutto per aver ricoperto i ruoli di leader del movimento liberale, a cavallo tra Otto e Novecento, e quello di ministro degli Esteri che ha presieduto l'ingresso dell'Italia nella Prima guerra mondiale. Ma l'importanza del personaggio va ben oltre.
Nel 1870 apre la strada alla discussione sui problemi sociali dell'Italia, con un'inchiesta sulla Sicilia e sulla questione meridionale. Dieci anni dopo è il primo, e il più influente, sostenitore dell'espansione coloniale in Africa. A metà del 1890, come ministro del Tesoro e delle Finanze, promulga riforme fiscali e del sistema bancario che salvano l'Italia dalla crisi finanziaria e pongono le basi per la sua successiva ripresa economica.
Dopo il 1900, è uno dei due più importanti politici liberali, in corsa per la leadership con Giovanni Giolitti, divenendo, di quest'ultimo, il più incisivo critico lealista. Nel 1906 conduce un governo di breve durata che alcuni contemporanei hanno considerato come l'occasione cruciale mancata per consolidare lo Stato liberale nell'epoca pre-fascista.
Durante la Prima guerra mondiale dirige la politica estera italiana, come ministro degli Esteri più longevo di una delle nazioni belligeranti. Insieme al primo ministro Orlando, Sonnino conduce la Delegazione italiana alla Conferenza di Pace di Parigi, dove diventa l'avversario principale della visione del presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson, per il mondo del dopoguerra.
Questo testo è tratto dall'introduzione al volume «Sidney Sonnino», a cura di Rosa Maria Delli Quadri, il terzo della collana «I protagonisti della Grande Guerra» lanciata dal Sole 24 Ore e in edicola da domani a € 9,90, oltre al prezzo del quotidiano

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