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Questo articolo è stato pubblicato il 10 agosto 2014 alle ore 08:13.
L'ultima modifica è del 10 agosto 2014 alle ore 13:57.

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Naturalmente, dal primo giorno, il sito dove si ergevano le Torri gemelle è diventato luogo di memorie. La voragine delle fondamenta rimosse, le dimensioni dei nuovi edifici (One World Trade Center è alto 1.776 piedi, l'anno della Costituzione), un'intricata geometria di spazi cavi e flussi d'acqua, ora, soprattutto, il National September 11 Memorial and Museum, tutto insiste sulla necessità del ricordo, un antidoto all'orrore di migliaia di morti dissolti nel nulla. Un monumento all'assenza, quindi, che si dipana tra insidie e incertezze, non ultima quella di trasformare le vittime in eroi. Per esprimere in forma sintetica, e memorabile, le emozioni e le intenzioni del luogo, è stato scelto un verso di Virgilio, che campeggia sul muro principale: «No day shall erase you from the memory of time» traduce nulla dies umquam memori vos eximet aevo, «mai nessun giorno al ricordo vi toglierà dei futuri». È un verso enfatico, icastico. Evoca la possibilità che il ricordo un giorno svanisca, ma prontamente la esorcizza; è anzi il futuro stesso che, con audacia sintattica, si fa "memore", a garanzia di una perennità collettiva, quasi impersonale, della memoria che traguarderà i secoli. Scandite sul cemento in cubitali caratteri d'acciaio sottratto alle macerie, le parole di un poeta antico, prova tangibile che la nostra memoria sa davvero battere il tempo, consacrano la promessa di un impegno duraturo.
Da tempo erano sorti dubbi sull'opportunità di utilizzare proprio quel verso, e le polemiche si sono fatte più intense dopo l'inaugurazione. Quel verso, infatti, appartiene a un contesto, anzi a uno degli episodi più famosi dell'Eneide. La guerra tra i Troiani e i Latini che li respingono dalle proprie terre è iniziata da poco (siamo nel nono libro). Cala la notte sull'accampamento troiano. Niso, e il più giovane Eurialo, «di cui più bello nessuno fu tra i fidi d'Enea», fanno da guardia alle porte, ma bramano di poter colpire il nemico in una sortita. È una "folle passione" ad animarli, l'unica strada per attingere alla gloria. Invasati, fanno strage di uomini in preda al sonno e al vino. Eurialo indossa l'elmo strappato alle spoglie di Messapo. Cavalieri nemici lo avvistano sulla via del ritorno. Niso torna indietro a difenderlo, per morire anch'egli abbattendosi sul compagno già esanime. È alla fine di questo episodio che Virgilio, per l'unica volta in tutto il poema, prende la parola in prima persona: «Fortunati l'uno e l'altro! Se posson qualcosa i miei versi / mai nessun giorno al ricordo vi toglierà dei futuri, / fin che la casa d'Enea del Campidoglio l'immobile / rupe dòmini e il padre Romano abbia impero» (così traduce Rosa Calzecchi Onesti).
L'epitafio finale esorta all'ammirazione, legando indissolubilmente la vicenda dei due giovani alla persistenza stessa di Roma, quasi che la loro incursione notturna ne avesse favorito in modo decisivo la nascita. Come sempre in Virgilio, però, abbondano suggestioni di altro tenore. Neppure i protagonisti sanno spiegarsi la forza dell'emozione che le spinge a un'impresa tanto pericolosa: quali sono i confini tra audacia e imprudenza? E quali tra la passione che li accomuna in battaglia e l'amor che li lega in privato? Eurialo viene scoperto perché la luna riflette i suoi raggi sull'elmo che ha sottratto a una delle sue vittime: è questo l'eccesso che lo perde?
Tutte queste, e altre, sono domande legittime per il lettore di Virgilio. Ma quali problemi pongono al visitatore del National memorial? O per meglio dire: quali problemi hanno posto a chi lo ha scelto come emblema e motto del memorial, riprodotto su gadgets e dépliants? Alice Greenwald, la direttrice, risponde imperturbabile: nessuno. Non importano, dichiara, i dettagli della narrazione virgiliana, solo il riferimento al fatto che «un singolo giorno non potrà cancellare la memoria di coloro che amiamo». La parafrasi porta fuori strada, perché le parole dicono in realtà tutt'altro, che nessun giorno futuro cancellerà il ricordo dei caduti, non che un singolo giorno, quello della loro morte, può cancellarne la memoria. Ma il paradosso più forte risiede nell'ammissione che il verso si presta all'uso solo in seguito a una decontestualizzazione violenta, che rende un atto di memoria (dell'Eneide) finalizzato a preservare memorie (quelle dei morti nell'attentato) fruibile secondo le intenzioni del monumento solo a patto di cancellarne ogni connotazione storica, cioè, appunto, ogni traccia di memoria. Il verso dell'Eneide in cui Virgilio immortala le azioni di Eurialo e Niso nella loro complessità etica ed erotica, ricordato e studiato dopo duemila anni, può farsi memorial solo se si dimenticano Eurialo, Niso, l'Eneide e in fondo anche Virgilio. Se insomma quel verso, scarnificato e smaterializzato, si riduce a mero veicolo fuori dalla storia e dal tempo, come una frase musicale illustre rapita alla partitura e ridotta a musica da sottofondo.
L'alternativa a questa abdicazione è in effetti impervia. Eurialo e Niso sono celebrati non perché vittime, ma perché autori di una strage notturna che comunque stride con i canoni del duello epico a viso aperto; per attenuare la distanza tra citazione e contesto si è provato a insistere sulla nobiltà del sacrificio di Niso nel vano tentativo di salvare il compagno, che però risulta monco se si ignora la tensione omoerotica tra il nuovo Achille e il nuovo Patroclo. Tutto troppo complicato, anche se perfettamente in linea con le strategie tipiche di Virgilio, che mai costringe a una visuale univoca e ama erodere la certezza dell'opposizione tra vincitori e vinti, tra eroismo e crudeltà. Tutto troppo lontano, però, dalle anodine intenzioni di chi deve aver trovato la frase in qualche repertorio tematico, privo di riferimenti al contesto. Non è il caso di scandalizzarsi: quella dei florilegi è una tradizione antichissima cui dobbiamo non pochi reperti di testi altrimenti scomparsi per sempre, solo che da tempo è finita l'illusione che le parole dei poeti si possano liberare da ogni sovrasenso quasi attraversando un immaginario Lete purificatore.

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