Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 10 agosto 2014 alle ore 08:14.
L'ultima modifica è del 10 agosto 2014 alle ore 13:54.

My24

Per molti spettatori (e, sospetto, per molti spettatori adulti) il film ispirato alle costruzioni Lego è stato una delle piacevoli sorprese dell'anno. Nel panorama dell'animazione contemporanea il film spicca particolarmente, perché il genere sembrava in leggera flessione rispetto alla fenomenale infilata di capolavori della Pixar. E poi, cosa c'era da aspettarsi da un film tratto da un gioco, anche se tra i registi c'erano i talentuosi men che quarantenni autori di Piovono polpette, Phil Lord e Christopher Miller?
Se il legame col merchandising affiora talvolta nei film Pixar in maniera ironica e consapevole, così come il riferimento al proprio ruolo nel mondo delle corporation (Eve, la fidanzata del robottino Wall-E, è una specie di Mac, e Steve Jobs era uno degli azionisti della Pixar), qui la cosa esplode e diventa il cuore stesso del film. The Lego Movie è un film fatto di merci, che parla di questo e usa questo dato come motore dell'azione. Questi personaggi-merci, peraltro, siamo noi: così è almeno quanto assume il film sin dall'inizio. Legolandia appare come un luogo tutt'altro che felice, molto simile alla Metropolis di Fritz Lang. Un luogo dominato dall'omologazione, in cui il capo Mr Business (che produce alimenti, programmi tv, "macchine per votare") lancia, attraverso canzoncine e sitcom idiote, i suoi comandamenti: comprare, sorridere, tifare per la squadra locale. La popolazione si adegua più o meno di malavoglia, più o meno come tutti noi nella vita reale. Ma tra di loro c'è un uomo talmente anonimo, talmente succube e persuaso dal sistema da essere paradossalmente il punto debole.
L'operaio Emmett è il classico uomo medio, ma totalmente obnubilato, una versione deforme dei John Doe e Mr Smith di Frank Capra. Ed è lui a venir designato da gruppi di ribelli come nuovo messia: bisogna salvare il mondo da Mr Business (in realtà Lord Business) che vuole ovviamente distruggerlo, preso da una foga ordinatrice che detesta l'uso improprio dei mattoncini. Il riuso creativo dei "pezzi" è proprio la base della resistenza, fatta soprattutto di avanzi di varie serie Lego passate: ci sono Batman e il Far West, le Tartarughe Ninja, Harry Potter, Star Wars e "l'uomo dello spazio anni '80": insomma un inventario della cultura cinematografica e televisiva del passato, caricata di spirito ribellistico, che però poi diventa un inno alla cooperazione, per cui il jingle di Mr Business si trasforma nell'inno degli eroi («Everything is magic/ Everyting is cool when you're part of a team»).
Forse la riuscita di The Lego Movie è dovuta anche al fatto che alla base c'è un gioco inventato cent'anni fa, dunque non un videogioco che già presenta una propria narrazione, ma un paesaggio che aspetta i suoi racconti – e oltretutto, un paesaggio con una sua storia e una sua affettività che si può riverberare sugli spettatori di mezza età. Il film dunque incorpora in sé il passare del tempo, in una particolare declinazione vintage, e a un certo punto si fa esplicita riflessione sui figli e sui padri (destinatari di gran parte delle citazioni e delle gag, spesso esilaranti). La storia, infatti, a mezz'ora dalla fine cambia completamente, con un colpo di scena in cui tutto ciò che abbiamo visto assume una luce nuova, neanche fossimo in Vanilla Sky o in Beautiful Mind. Dal mondo di Lego si passa a quello reale, e scopriamo che l'intera storia è opera di un bambino che ha ricombinato i pezzi della Lego collezionati dal padre. Svolta un po' didascalica e banalizzante, forse, e anche riflessione sui meccanismi del racconto.
La forza di The Lego Movie sembra esser quella di non rifiutare le contraddizioni proprie e del sistema in cui opera, di non negare il proprio carattere ideologico e mercantile, ma di trasformarlo in caotica, ritmatissima sarabanda. Insomma, un film che è lo spot di un colosso industriale (Lego), prodotto da una multinazionale (la Warner), e che si propone come inno anarchico contro il consumismo. Astuzia politica? Capitomboli dialettici? Tabula rasa postmoderna in cui la classica morale hollywoodiana è contaminata con spinte anarcoidi? Tutto questo, e in fondo soprattutto un elogio della creatività innestato, a ben vedere, su un fondo di realismo: il mondo è fatto di mattoncini prefabbricati, e il meglio che si può fare è non seguire le istruzioni; rimontare in maniera nuova mattoncini vecchi e nuovi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi