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Questo articolo è stato pubblicato il 10 agosto 2014 alle ore 08:13.
L'ultima modifica è del 10 agosto 2014 alle ore 13:57.

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Nel dibattito che Gilberto Corbellini e Michele De Luca hanno avuto su queste pagine con i loro interlocutori nelle ultime due settimane vi sono importanti divergenze di vedute di natura scientifico-filosofica. Qui vorrei chiarire soltanto la terminologia, cioè l'uso di alcune parole: anche questo è importante, perché un antico adagio ci dice che i nomina possono diventare numina.
Nello sviluppo umano vi sono solo due momenti che sono in certo senso assoluti: (1) l'uovo fecondato o zigote, cioè la cellula diploide (due corredi cromosomici) che si forma dall'incontro dei due gameti aploidi (ciascuno ha un solo corredo cromosomico); e (2) il neonato. Tra questi due momenti ha luogo un processo di affascinante complessità, nel corso del quale l'informazione contenuta nel Dna dello zigote detta l'attuazione di un programma che passo passo porta alla formazione del neonato. Se il Dna è il direttore d'orchestra, sono rilevanti pure alcune sue modificazioni post-zigotiche e l'assetto della cromatina (le proteine legate al Dna) nei nuclei delle cellule, che chiamiamo fenomeni epigenetici; possiamo paragonarli agli strumenti musicali e a chi li suona. E contano pure non poco due strati di ambiente: quello dell'utero materno e, se pur forse in misura minore, quello che sta ancora al di fuori, cioè la vita della madre nell'ambiente esterno (continuando la metafora possiamo pensare a quanto per il successo dell'orchestra, sia importante l'acustica della sala).
Per descrivere le molte fasi di sviluppo tra i due momenti assoluti, lo zigote e il neonato, c'è tutto il vocabolario dell'embriologia. Un primo termine che è emerso nel dibattito è quello dell'«aggregato di cellule»: bisogna ammettere che non è un'espressione elegante, e qualcuno la trova derogatoria. Si tratta della prima fase di proliferazione dello zigote, e in embriologia si chiama la morula (perché quando ha 32 o 64 cellule assomiglia a una mora di bosco). Il secondo termine, che non offende nessuno, è embrione: una fase di sviluppo successiva alla morula di pochi giorni, nel corso dei quali è avvenuta una modificazione morfo-funzionale complessa chiamata gastrulazione. La differenza tra questi due stadi è drastica. Nella morula di epigenetico è avvenuto poco o nulla: tutte le sue cellule sono equivalenti, tanto che la morula potrebbe scindersi, come avviene talvolta (per dare alla fine due gemelli; detti identici). Nell'embrione invece sono già avvenuti fenomeni epigenetici importanti in qualità e quantità, praticamente irreversibili, che hanno prodotto i primi eventi di differenziamento tra una cellula e un'altra: questi sono essenziali, per l'attuazione del programma che porterà a formare tutti i vari organi del corpo e alla fine il neonato. Che un embrione si scinda in due sarebbe impossibile o letale.
Mi permetto di raccontare un aneddoto vero che può spiegare come mai, malgrado la differenza fondamentale tra morula ed embrione, si sia creata tra i due termini sfortunatamente una confusione che perdura tuttora. Nel 1983 nel mio studio al Hammersmith Hospital di Londra un eminente ginecologo (oggi è un Lord del Regno Unito), il primo a offrire la fecondazione in vitro in un ospedale pubblico, mi spiegava con entusiasmo le tappe della procedura, allora d'avanguardia: come si ottengono gli ovuli, come vengono esposti agli spermatozoi, come si verifica la formazione dello zigote e si ispeziona la sua segmentazione: infine, si trasferisce nell'utero materno, una tappa che chiamò embryo transfer. Gli chiesi se avevo capito bene: quello che trasferiva era una morula, non un embrione. Mi rispose subito: «Embryo transfer suona molto meglio che non Morula transfer». Da allora la terminologia si è cristallizzata; non importa che fosse sbagliata; e da allora è nata l'immagine che nei laboratori o nei congelatori vi fossero migliaia di embrioni. Nomina numina. Non sono embrioni; sono morule.
Questi sono i fatti: altra cosa la loro interpretazione. Quando si può cominciare a parlare di individuo? Certo non con la morula, visto che di individui potrebbero nascerne anche due. Quando, in qualche momento tra l'embrione e il neonato, si può cominciare a parlare di persona umana? A rispondere a questa domanda qui non mi cimento: lo farei se qualcuno prima mi definisse il termine persona umana.
© RIPRODUZIONE RISERVATA di Gilberto Corbellini e Michele De Luca
Correttamente Lucio Luzzatto fa notare che quello che noi abbiamo forse inelegantemente chiamato «aggregato di cellule» ha un nome scientifico: morula. Per un pubblico generale, «aggregato di cellule» ci è parso adeguato come traduzione di cluster of cells (Nichols and Smith 2012). Ma, come spesso capita con l'inglese scientifico, nell'originale "suona meglio".
Proviamo a fare ulteriore chiarezza. Lo zigote è la cellula che origina dalla fecondazione (naturale o in provetta) dell'ovocita da parte dello spermatozoo. Lo zigote si divide e genera cellule identiche tra loro chiamate blastomeri, che nel giro di 2-3 giorni si compattano formando la morula. I blastomeri sono totipotenti, hanno cioè la potenzialità di generare un animale e i tessuti extraembrionali come la placenta. Hanno solo la potenzialità di farlo perché hanno bisogno di un utero. Queste cellule potrebbero in teoria generare non 2 (come spesso fanno realmente) ma 8, 16, 32 gemelli identici.
Per l'impianto in utero, oggi non si usa più la morula, bensì la blastocisti (che si è ribellata sia a noi sia a Lucio per essere stata essa stessa dimenticata). Dopo altri due giorni, in provetta così come in vivo, alcune cellule della morula fanno il trofoblasto (la struttura che genererà la placenta dopo impianto in utero), le altre fanno la massa cellulare interna o embrioblasto (germe dell'embrione) composto da una trentina di cellule che altro non sono che le cellule staminali embrionali (Es). Le Es sono pluripotenti, possono cioè fare l'animale ma non la placenta e gli altri annessi necessari allo sviluppo del feto. La loro potenzialità è inferiore perché necessitano non solo di un utero, ma anche di una placenta. Se, però, prendiamo le Es e le trasferiamo in un «trofoblasto donatore», mettendo il tutto dentro un utero, quelle Es faranno un animale che nasce, mangia, beve, corre e si riproduce. Anche le Es sono sostanzialmente uguali tra di loro (possiamo rimuoverne la maggior parte o aggiungerne di nuove, come nelle chimere, e l'animale si forma lo stesso). Idem per le cellule adulte riprogrammate pluripotenti (iPS) di Yamanaka, derivate da una cellula qualsiasi di un individuo adulto. Se le trasferiamo in un «trofoblasto donatore», e poi in utero, faranno un animale.

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