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Questo articolo è stato pubblicato il 10 agosto 2014 alle ore 08:13.
L'ultima modifica è del 10 agosto 2014 alle ore 13:57.

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È una tiepida sera di giugno. Morbidamente allungato su una sedia del Café Les Deux Magots, a Saint-Germain-des-Prés, in una mano la pipa, nell'altra una Gauloise, J.S.S. è meditabondo. Vorrebbe lavorare alla sua autobiografia, ma non riesce a concentrarsi, un po' perché si è appena scolato una bottiglia di Château Lafitte, un po' perché al tavolo accanto Malraux bisticcia con Buñuel e non c'è verso di farli stare zitti.
Arriva un cameriere: «Monsieur le Professeur, c'è per Lei una telefonata da Stoccolma. Posso passargliela?». «Va bene – risponde lui – tanto sarà la solita noiosissima intervista!». Sbuffando prende in mano il telefono che il cameriere gli porge. Nel frattempo, al bancone del Deux Magots Picasso ha insultato Matisse e questi, tentando di colpirlo con una bottiglia di Dom Pérignon, ha inavvertitamente centrato Yves Montand, che stava flirtando con Edith Piaf. Ne è scaturita una rissa gigantesca, e con tutto quel frastuono J.J.S. non capisce niente di ciò che dicono al telefono dalla Svezia. Spazientito, stringe la cornetta, gridando: «Grazie molte, ma non mi interessa!», e riattacca. Poco dopo la rissa termina e, mentre Levi-Strauss e Gerges Perec vengono portati via dall'ambulanza, J.J.S. si risiede al tavolo. È soddisfatto di non dover perdere tempo con un altro giornalista molesto.
Torna a concentrarsi sull'autobiografia e pensa a quando, bambino, viveva dall'altra parte della Manica. Rammenta di quando, già a tre anni, il padre lo obbligava a studiare il greco antico e la logica. Ma oggi con il proprio passato J.J.S. ha fatto i conti: ormai ha capito, per esempio, che il suo famoso pamphlet giovanile sulla libertà era un modo come un altro di ribellarsi al padre-padrone.
Sull'onda dei ricordi, la scrittura procede veloce. Inizia un altro capitolo, che riguarda la sua esperienza di filosofo morale: «Quando ero giovane pensavo che un'azione è etica se incrementa l'utile del maggior numero possibile di persone». Poi, inalando la settantatreesima Gauloise, alza la testa dai fogli e vede Yves Montand che, bello incerottato per la bottigliata di Dom Pérignom, ha ripreso a flirtare con Edith Piaf. Ispirato, il nostro filosofo riprende la penna e appunta a margine di un foglio: «Idea per un futuro articolo: dal punto di vista morale, un filosofo virtuoso è sicuramente migliore di un attore ubriacone!». Proprio in quel momento entra nel locale Simone Signoret e quando vede Montand che fa il cascamorto gli spacca l'ombrello in testa. «Chère madame, lei ha tutta la mia approvazione morale!», le dice solenne J.J.S., mentre Montand lo maledice in pistoiese stretto.
A quel punto al tavolo del Nostro arriva Georges Brassens, gioviale come al solito. «Marcel, ma non eri morto?», gli dice. E lui, tentando di dissimulare l'irritazione: «No, non ero morto, anche perché non sono Camus, ma J.J.S!».«E va be', sempre filosofo sei, no?». I due cominciano a discutere animatamente e intanto tracannano una bottiglia di Armagnac; dopo poco si sono dimenticati perché stanno litigando. Decidono allora di comporre una canzone: J.J.S butta giù il testo e Brassens lo musica all'impronta. In breve la canzone è pronta e i due la intonano in coro. Edith Piaf fa il controcanto, Yves Montand e Simone Signoret si abbracciano. Tutti gli astanti del Les Deux Magots si commuovono sino alle lacrime.
Nasce così, in una tiepida sera di giugno, uno dei più grandi capolavori della canzone d'autore francese: L'Être et le néant.
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