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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2014 alle ore 08:14.

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Questa volta l'ingresso di un trittico di volumi in libreria ci permette di parlare soprattutto di una figura ecclesiastica molto significativa, testimone del fervore che animò la Chiesa nella fase successiva al Concilio Vaticano II. Ci riferiamo al cardinale Michele Pellegrino, arcivescovo di Torino dal 1965 al 1977, membro dei due conclavi del 1978 nei quali vennero eletti Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II (quest'ultimo aveva con lui ricevuto la porpora da Paolo VI nel 1967). Ebbene, alle spalle di questo vescovo c'era una lunga carriera accademica come docente di letteratura cristiana antica all'università di Torino.
Nella trilogia a cui ci riferiamo dominano appunto le sue ricerche sulla letteratura patristica sviluppate tra il 1938 e il 1980, con particolare attenzione a sant'Agostino e al martirio cristiano. Noi ci soffermeremo ora solo sul primo tomo miscellaneo, e tocca a un importante cultore della materia, Paolo Siniscalco, tracciare in apertura una mappa dell'investigazione di Pellegrino. È interessante notare che questi 53 saggi, simili a un arcobaleno testuale, tematico e cronologico – come gli altri due volumi di Ricerche patristiche – vengono ora riproposti dalle Edizioni di Storia e Letteratura che ebbero come artefice un'altra straordinaria figura ecclesiastica, don Giuseppe De Luca, sacerdote lucano di altissima intelligenza, capace di dialogo con la cultura anche "laica" di quegli anni.
La sua figura occhieggia in una delle pagine del professor Pellegrino, ove egli esamina la poesia di sant'Ilario di Poitiers (IV sec.) e, in particolare, l'inno Ante saecula qui manes, un canto cristologico. Giunto al verso aeternum in motum tempora protulit – «un verso di cui un grande poeta potrebbe andar orgoglioso» per il quale «il tempo attinge la sua ragion d'essere nell'eterno» - lo studioso si abbandona a un ricordo personale. «Quando recitai questa strofa a don Giuseppe De Luca – e cito volentieri qui il nome dell'amico, dalla cui fraterna conversazione ho imparato e imparo più che da molti libri – egli pronunziò, dopo un attimo di riflessione, un nome: Lucrezio».
L'insegnamento della letteratura cristiana antica, latina o greca, era stato un percorso privilegiato per introdurre nell'università italiana, fino ad allora allergica alle discipline teologiche, un orizzonte di grande qualità intellettuale e di indubbio rilievo storico-letterario oltre che religioso. È interessante notare che questa silloge si inaugura proprio con un saggio emblematico sul nesso tra letteratura «classica» e letteratura «cristiana antica», un legame ben più vigoroso e fecondo di quanto si possa immaginare. E la sequenza dei personaggi che vengono posti alla ribalta – dopo una notevole serie di testi di indole metodologica e tematica generale – ne sono l'evidente conferma: da Giustino a Tertulliano, da Minucio Felice a Clemente Alessandrino, da Basilio a Gregorio Nisseno e Nazianzeno, dal citato Ilario a Romano il Melode, per non parlare dei sommi Agostino, Ambrogio e Leone Magno.
Tra questi autori non manca Massimo di Torino che fu appunto predecessore del cardinale Pellegrino sulla cattedra episcopale del capoluogo piemontese, vissuto tra il IV e il V secolo, pastore più che teologo. Pellegrino, che era innanzitutto teologo e studioso, fu all'improvviso strappato da Paolo VI all'attività accademica e, da quel momento, egli si seppe trasformare in pastore appassionato e iniziò il suo ministero proprio con un messaggio incentrato sulla figura di san Massimo. Nato in un'umile famiglia di muratori a Centallo (Cuneo) nel 1903, egli si consacrò con assoluta dedizione a diffondere lo spirito conciliare, irradiandolo in uno spettro pastorale variegato: dall'attenzione alle povertà urbane all'evangelizzazione dei lavoratori, dalla valorizzazione dei laici all'impegno teorico e pratico per il mondo del lavoro, dall'esaltazione del vincolo tra etica ed economia alla promozione di una società più giusta.
Nelle sue Lettere pastorali si intuiva il respiro dei grandi Padri della Chiesa da lui studiati e amati, ma si intravedeva anche la costante sensibilità nei confronti di una Chiesa e di una società in evoluzione. Nacquero non poche reazioni polemiche al suo ministero, così come alcuni fraintendimenti che lo provarono aspramente, tanto che nel gennaio 1977, dopo 12 anni di servizio episcopale, chiese al papa di esonerarlo dall'incarico, prima dei 75 anni proposti per le dimissioni dei vescovi. Paolo VI accolse questo desiderio solo nel luglio 1978 e, così, il cardinale si ritirò in un piccolo centro, Vallo Torinese, riprendendo i suoi studi. Lo attendeva, però, una prova estrema: l'8 gennaio 1982 fu colpito da un ictus cerebrale che lo paralizzò e gli tolse completamente la parola. Per oltre quattro anni visse nel silenzio al Cottolengo di Torino, ove si spense il 10 ottobre 1986.
Ebbene, per attestare la continuità del suo lascito culturale, vorremmo in finale segnalare una monografia a più voci (si tratta di sette studiosi) dedicata alle «prediche e predicatori nel Seicento». Ora, questa raccolta – che è la terza del genere – è posta all'interno di una collana di «studi, fonti e documenti di storia e letteratura religiosa», patrocinata proprio dalla Fondazione Michele Pellegrino che vide la luce nel 1997 per merito del discepolo prediletto del cardinale, il prof. Franco Bolgiani (1922-2012). Massimo di Torino fu un predicatore convinto che la parola sacra fosse «come medicina per guarire le piaghe dell'anima» (di lui sono a noi pervenuti quasi 280 sermoni tra autentici e spuri). Pellegrino è stato un oratore sobrio, pacato ma incisivo. In queste pagine di analisi critica si è condotti in una selva lussureggiante ove si diramano sentieri, meandri, radure e ove risuonano voci remote e fin ignote e altre che sono entrate da tempo nel repertorio letterario barocco. Un'esperienza per certi versi emozionante ove s'intrecciano retorica e spiritualità, teatralità e profondità, stile ed efficacia sacrale.

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