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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2014 alle ore 08:14.

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Il festival di Arles di quest'anno, il principale di fotografia in Europa, ha coronato il ventinovenne bolzanino Nicolò Degiorgis, laureato in cinese a Ca' Foscari e studioso di problemi dell'immigrazione all'Università di Trieste, come autore ed editore del «miglior libro d'autore» di quest'anno. Un premio importante che riguarda stavolta un libro auto-prodotto, e un premio meritato per la precisione e bellezza del l'edizione (si può richiedere il libro tramite www.rorhof.com; Rorhof è il nome della casa editrice di fotografia, e si spera anche d'altro, che Degiorgis sta cercando di mettere in piedi nella città natale insieme a Eleonora Matteazzi), come per l'originalità e validità dell'idea che lo regge, per l'argomento preso in esame e per il modo in cui esso viene esplorato.
Il titolo del libro è Hidden Islam, Islam segreto, Islam nascosto, e il sottotitolo Islamic makeshift places of worship in North East Italy, 2009-2013, e si tratta in effetti di un repertorio, di un'inchiesta sui luoghi di preghiera di fortuna, occasionali e improvvisati (ma a volte diventati pressoché stabili, in certi giorni e orari) che gli immigrati musulmani nel Nordest italiano si sono dati, spesso in condizione di semi-clandestinità per le avversità del l'ambiente. Il paradosso veneto sta nella massiccia presenza di immigrati (in prevalenza musulmani) di cui quell'economia ha bisogno, e nel modo assai spesso razzista con cui quella società ha voluto accoglierli.
Peraltro, ricorda Martin Parr – uno dei più originali e formidabili fotografi di questi anni – nella prefazione che ha voluto scrivere per il volume, l'Italia accoglie quasi un milione e mezzo di arabi e ha permesso la costruzione solo di otto moschee in tutta la penisola. «Anche se in Italia il diritto alla libertà di culto, senza discriminazioni, è protetto dalla Costituzione», e anche se «l'Islam è la seconda religione come diffusione», essa non è ufficialmente riconosciuta dallo Stato.
Ancora Parr: «Un aspetto affascinante della fotografia è che può parlare di luoghi e idee di cui altrimenti non avremmo conoscenza». Sì, c'è ancora un aspetto conoscitivo della fotografia (e del giornalismo e del cinema documentario, quando non rimestano nell'ovvio) che non va assolutamente dato per scontato: anche se in questi anni l'esplosione e invasione della comunicazione – quella manipolata e manipolante, la finta comunicazione – ne ha reso incerto lo statuto e l'ha spesso relegata alla conferma del noto o alle disavventure dell'arte, questo non vuol dire che essa non possa essere usata – come il giornalismo d'inchiesta, come il cinema documentario o semi-documentario – per la perlustrazione del non-noto, degli angoli bui della società e di tutto quanto non vogliamo vedere anche se sarebbe nostro dovere vedere. Un libro attivo, dunque, alla fine del quale non possiamo più dire di non sapere, e che ci invita a prendere la questione nelle nostre mani, secondo coscienza.
Degiorgis ha esplorato il suo Nordest da Trento a Trieste, la città più a ovest e quella più a est, e da Badia Polesine a Merano, la città più a sud e quella più a nord, e ha diviso le sue foto in esterni (in bianco e nero, un riquadro in una pagina bianca) e in interni (a doppia pagina e a colori, la doppia pagina racchiusa dentro le due, ripiegate, che mostrano gli esterni), e a seconda dei luoghi di cui i fedeli si sono serviti, adibendoli a luoghi di preghiera.
Si tratta di capannoni, di magazzini, di negozi, di angoli di supermarket, di appartamenti, di stadi, di palestre, di garage, di discoteche... A volte gli interni sono esterni di interni, se così si può dire: spazi limitati e appartati tra edifici diversi, passaggi, cortili e prati tra un muro una rete una siepe, vivacizzati da tappeti multicolori. E mostrano pochi o tanti individui, uomini anzitutto, reclini a pregare in direzione della Mecca, a piedi nudi, visti di spalle, dall'alto, col volto nascosto, uomini che tornano a sentirsi e a essere membri di una comunità, di una massa.
La dominante aridità degli esterni – si tratta di edifici quasi sempre senz'anima, ma talvolta, di rado, di sedi di associazioni od onlus simpatetiche, in luoghi e tra persone solidali che non ci vengono bensì mostrate – si contrappone da sé al colore/calore degli interni, visti sempre senza insistere su alcun ricatto sentimentale, con il massimo di obiettività, di rispettosa distanza. Non è un libro di denuncia questo di Degiorgis, ma di constatazione: di una discriminazione, di un'ingiustizia; qualcosa di più che «un problema», come vorrebbero i nostri politici.
Questo libro bello e importante non è il solo che, dall'interno del Nordest, mette in luce le ambiguità di una regione baciata dal benessere e oggi costretta a rendiconti dolorosi, in cui molti scrittori e registi stanno operando con lucidità e fermezza, e penso tra le cose più recenti al film di Alessandro Rossetto Piccola patria e al romanzo di Francesco Maino Cartongesso, ma si potrebbero fare dozzine di nomi e di titoli.
Le foto di Nicolò Degiorgis affrontano il Nordest dalla parte dei «nuovi veneti», necessari e bensì diversi, cui devono appartenere gli stessi doveri ma anche gli stessi diritti degli altri, senza distinzione di fede. Lunga vita alle edizioni Rorhof.
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