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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2014 alle ore 08:13.

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La sua prima galleria fu una stanza da letto: la sua. Anna Potocka aveva 22 anni, era il 1972 e in Polonia non si potevano riunire più di 10 persone in un appartamento. Si può capire, dunque, il lampo di fierezza che illumina i suoi occhi verdi: oggi guida il Mocak, Museum of contemporary art in Krakow, «il primo museo di arte contemporanea nato in questo Paese». Il coronamento di un sogno, realizzato con determinazione. Pervicacia, anzi.
Inaugurato il 19 maggio 2011, la sua sede di per sé è densa di significati e avrà per sempre un posto nella Storia: è la fabbrica che fu di Oskar Schindler, l'uomo che salvò dallo sterminio 1.100 ebrei, sulla cui saga Steven Spielberg ha girato il film Schlinder's list, appunto. Il complesso industriale cadde in disuso e fu abbandonato fino a quando il Comune di Cracovia non decise di destinarlo all'arte e l'architetto italiano Claudio Nardi vinse il progetto di riqualificazione dell'intera area. Uno degli edifici, quello della sede dell'amministrazione, è dedicato alla storia dell'occupazione nazista di Cracovia.
Nel caffè del Mocak la direttrice racconta il percorso che l'ha portata fin qui, perché se «oggi ci sono quattro musei di arte contemporanea in Polonia, a Zodz, a Breslavia dove è in costruzione, e a Varsavia (ora in una struttura temporanea)», nati piuttosto rapidamente all'indomani del crollo del regime comunista 25 anni fa, non è stato facile né scontato centrare questo obiettivo. «Nel '74 trovai un posto più grande della mia stanza da letto, a Nova Huta (quartiere alla periferia di Cracovia, ndr). Erano anni in cui nel nostro ambiente si compivano anche azioni illegali: era vietato esporre l'arte ceca senza il consenso dell'ambasciata della Cecoslovacchia, beh, io riuscivo ad aggirare il divieto e a farla arrivare comunque qui; così come a volte il console tedesco si prestava a trasportare clandestinamente alcune opere nella sua auto ufficiale. Il rischio, certo, non era enorme perché non mi hanno mai arrestato e non mi sento un'eroina», si schermisce.
Le cose cambiarono con l'imposizione della legge marziale, nel 1981: «Chiusero la galleria che avevo aperto nel frattempo, nel '79. Dalla sera alla mattina furono messe a tacere organizzazioni ed enti culturali e fu decretato il divieto di espressione. Furono inaugurate alcune gallerie a Varsavia, ovviamente gradite al Partito, e immediatamente boicottate da tutto il nostro mondo, lacché di turno a parte», ricorda con tono sarcastico.
Potocka si ritrovò con la laurea in Letteratura polacca, conseguita anni prima alla prestigiosa Università Jagellonica, le molte opere d'arte che aveva collezionato sino a quel momento, e nessun lavoro. «Pensai di fare la tassista a Cracovia, ma i tassisti non mi volevano perché ero donna e laureata, allora cominciai a scrivere dei gialli. Poi un'esperta di storia dell'arte mi propose di occuparmi di storia dell'arte antica e per 16 anni, fino al '96, mi sono dedicata all'antiquariato, spaziando dalla scultura alla pittura fino alla grafica: dovevo intendermi di tutto. Anche di fotografia per la ditta Desa, monopolio per il commercio dell'arte a Cracovia».
Ma la direttrice del Mocak aveva chiare le proprie priorità, nonostante la vita l'avesse costretta a mettere in campo tutta la versatilità di cui era capace. «Dall'83 avevo cominciato a proporre al Comune l'idea di un museo d'arte contemporanea ma Cracovia non era pronta. Tre anni dopo inaugurai una galleria privata con il mio nome: l'obiettivo immediato era accrescere la collezione, quello vero e lungimirante guardava al museo. Per il quale immaginavo, come possibile sede, la casa di Lenin, dove lui aveva dormito una sola notte. Ma la città non era d'accordo, perché l'impronta storica avrebbe oscurato la finalità per cui quella casa doveva essere usata, evocando la chiusura al nuovo».
Passano gli anni, Potocka intanto si cimenta in prima persona nell'arte senza tuttavia esporre mai i propri lavori. Nel 2005, la svolta. La vecchia fabbrica di Schindler costituiva ormai un problema per il Comune di Cracovia. Da tempo era una meta turistica, dopo il film di Spielberg, ma le condizioni in cui versava erano preoccupanti e s'imponeva una decisione. «Si concluse che il solo modo di "salvarla" era creare dei musei. Alla fine del 2010 terminarono i lavori finanziati per metà dall'Unione europea (circa 20 milioni di euro il costo totale, ndr) e l'anno successivo ci fu l'inaugurazione ufficiale alla presenza del presidente della Repubblica Bronislaw Komorowski». Oggi la collezione permanente del Mocak conta 4mila opere di 160 artisti, polacchi e internazionali, cui si affianca l'allestimento di mostre temporanee.
Nel corso di questo dialogo con Anna Potocka non è mai emerso un dettaglio della vita privata, forse perché l'arte è stata un'esperienza totalizzante, vissuta in tempi e luoghi non proprio qualsiasi? «Ho avuto tre mariti, un figlio che oggi è adulto e fa il filosofo, e ora ho moltissimi amanti e un fidanzato negli Stati Uniti», dichiara invece senza scomporsi. Non finisce qui. «Non riesco ad abitare con nessuno, vivo da sola». Una serie di elementi che devono aver avuto il loro peso, rispetto alla percezione che si aveva di lei in quanto donna, nella società polacca. «Posto che sono atea, va detto che negli Stati in cui la Madonna ha un posto importante nella religione, la donna sta meglio, a meno che non capiti un marito violento. In Polonia sul posto di lavoro la situazione inizia a essere migliore di quella degli uomini, e lo dico avendo uno sguardo critico sulle mie simili. Per le donne è più facile adattarsi e assumere impegni e obblighi più di quanto non siano in grado di farlo gli uomini. La donna se vuole essere stupida lo è, se vuole essere saggia ha tutte le qualità per esserlo. Qui ha le stesse chance, a meno che non ci siano di mezzo per esempio tre figli in partenza». Prende fiato, poi conclude con un sorriso: «Sempre più spesso, tra l'altro, gli uomini hanno un istinto di maternità. Certo, non hanno il seno per allattare»

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