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Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2014 alle ore 10:29.

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Vive in affitto, in un appartamento. Progetta edifici di carta. Costruisce case, scuole, chiese e auditorium (all'Aquila) per terremotati. Usa materiali riutilizzati. Firma padiglioni smontabili, come il Football Pavillion all'ambasciata brasiliana a Tokyo durante gli ultimi Mondiali di calcio. E non ha avuto paura di installare una galleria di tubi di cartone, legno e teli sintetici sul tetto del Centre Pompidou di Parigi e di usarla per cinque anni come ufficio. La dedizione dell'architetto Shigeru Ban alla precarietà dell'esistenza è molto giapponese. Echi di pavimenti ricoperti di tatami, futon da sparecchiare durante il giorno, stanze separate da diafani shoji di carta scorrevoli.

L'antico mondo fluttuante dei piaceri a cui aggrapparsi, raffigurato negli ukiyo-e, e i disastri naturali come parte dell'esistenza. Un retroterra perfetto per sviluppare il moderno senso pratico del qui e ora. Nel caso del progetto per il Pompidou: affittare uno spazio a Parigi era costoso, il tempo di utilizzo limitato, quindi meglio accamparsi in una struttura temporanea. Veloce, semplice, economica. Lui ci ha lavorato mentre seguiva la realizzazione del suo primo grande progetto internazionale (permanente): il Centre Pompidou di Metz, inaugurato nel 2010, uno dei più vasti tetti in legno mai costruiti, leggero, come un cappello di paglia cinese. Shigeru Ban è nato a Tokyo nel 1957. A marzo è stato insignito del Pritzker Prize, il Nobel dell'architettura, terzo giapponese in cinque anni, per «il suo senso di responsabilità e di impegno nella creazione di un'architettura di qualità che serva ai bisogni della società, combinata a un approccio originale alle sfide umanitarie» e, ancora, «perché per lui la sostenibilità non è un concetto che si aggiunge in seguito, ma è intrinseco nell'architettura».

Lo abbiamo interpellato sull'essenza del suo lavoro, lui in modo altrettanto essenziale, spiega: «Cerco di adattare più possibile il design all'ambiente e al retroterra culturale del luogo dove l'edificio sarà costruito». Tutto qui. Materiali ed edifici del futuro? Non sa, non gli interessa: si concentra sul presente. Qualche progetto a cui è affezionato, o di cui è particolarmente orgoglioso? No. Un accidentale retropensiero su come gli edifici temporanei che lui progetta possano fornire una risposta al sovrapopolamento del pianeta o allo sfruttamento della natura e del territorio? Non sa. Shigeru Ban fornisce un tetto ai rifugiati, alle vittime dei disastri naturali e della guerra. Lavora per chi ha perso la casa e per chi la vuole. Ha progettato negozi per l'azienda di calzature Camper e per Tamedia (casa editrice di Zurigo che pubblica il quotidiano Tages-Anzeiger) ha costruito un edificio di cinque piani con struttura interamente in legno inaugurato nel 2013. Va di persona sul campo, studia la questione, cerca i materiali disponibili in loco, e progetta. Non perché tutto questo sia sostenibile ecologicamente, ma perché è la soluzione migliore, più veloce ed economica. In un'architettura a chilometro zero ha innestato trent'anni fa l'idea strutturale dei tubi di carta, che la leggenda vuole (lo ha raccontato lui stesso) gli sia venuta quando, neolaureato, stava lavorando all'allestimento della mostra di uno dei suoi maestri ispiratori, il finlandese Alvar Aalto (che realizzò musei, ospedali, grattacieli, ville ma anche case popolari e i dormitori del Mit): c'erano rotoli di carta da fax vuoti sparsi per tutto l'ufficio, erano belli e robusti, perché non riutilizzarli? Ha lavorato sulle dimensioni, sulla resistenza all'acqua e al fuoco. E ora la sua idea è stata santificata dal Pritzker. Lo chiamano l'architetto del popolo. Gli fa piacere. Lui non capisce l'accezione, soprattutto occidentale, dell'architetto che lavora per le persone importanti, privilegiate, per creare monumenti che ne celebrino i soldi e il potere. Sta dalla parte della minoranza, della comunità.

Nel 1994, dopo la guerra civile in Ruanda, cominciò a frequentare i disastrati del mondo e i due milioni di senzatetto di quel Paese. L'Unhcr distribuiva pali di alluminio e teli di plastica per gli insediamenti di fortuna, ma la gente vendeva l'alluminio e abbatteva le piante per costruire la propria tenda. Ban progettò una struttura alternativa di tubi di carta, un materiale da produrre facilmente sul posto: gli alberi sarebbero stati salvi e l'Unhcr avrebbe risparmiato sull'alluminio. Nel 1995, l'anno del terremoto di Kobe, Ban fonda il Voluntary Architects' Network. A Kobe usa le casse di birra vuote riempite di sabbia per costruire le fondamenta di casette di tubi di carta di 52 metri quadrati (e meno di 2.000 dollari di valore complessivo). Un esperimento che viene replicato in seguito, con dettagli diversi per ciascun luogo – e materiali che vanno dal bambù ai container – per le vittime di terremoti, tsunami e uragani vari in Giappone, Turchia, India, Sri Lanka, Cina, Taiwan, Usa (partecipa alla ricostruzione della New Orleans post Katrina in collaborazione con la fondazione di Brad Pitt), Haiti, Nuova Zelanda, Filippine. In Italia, a L'Aquila, Ban ha progettato l'auditorium del conservatorio (chiamato anche Paper Concert Hall) inaugurato nel 2011. In tutte queste attività, l'elemento finanziario non è mai (troppo) importante. In un'intervista a Charlie Rose all'indomani dell'annuncio del Pritzker ha dichiarato: «Per me non c'è differenza tra la soddisfazione della gente che abita nelle mie case temporanee o nei miei progetti più costosi. C'è solo la differenza se io vengo pagato o meno. Ma non mi interessa molto. Certo, ai miei partner sì». Per la cronaca, il New York Times ha riportato che dopo il premio i prezzi delle sue Metal Shutter Houses, a West Chelsea, sono quadruplicati. Nel frattempo, in America, il 9 agosto ha aperto il nuovo edificio, da lui firmato, dell'Aspen Art Museum. Ban non si ferma un attimo: ha vinto in patria il concorso per realizzare il Mount Fuji World Heritage Center a Shizuoka, sta lavorando al nuovo quartier generale di Swatch a Bienne, in Svizzera, e ha battezzato quest'estate l'inizio dei lavori della Cité musicale sull'Île Seguin, a Ovest di Parigi. In ogni nuovo lavoro, il suo stile si raffina e si rafforza, facendo decantare le influenze raccolte negli anni: John Hejduk (the paper architect, che raggiunse alla Cooper Union di New York dopo il liceo), Alvar Aalto, Buckminster Fuller, Ludwig Mies van der Rohe, Louis Kahn e Frei Otto con cui collaborò per progettare il padiglione del Giappone all'Expo del 2000 di Hannover, pensato a partire soprattutto dal suo smaltimento. Sullo sfondo, ovviamente, l'architettura di casa. Da bambino era affascinato dal lavoro dei falegnami: spesso li vedeva all'opera nella casa paterna di carta e di legno. A sua volta è diventato cantore di quella tecnologia tradizionale che nella selezione naturale della storia ha salvato i materiali flessibili e leggeri, i più adatti a opporsi alla locale violenza della natura. Shigeru Ban continua a ripetere che anche gli edifici di cemento sono temporanei, perché verranno sostituiti da altri. E in caso di terremoto, saranno proprio loro ad essere distrutti, mentre quelli di carta sopravvivranno. Non è il materiale che determina la vita negli anni di un edificio: è la cura che i suoi abitanti sanno infondervi.

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