Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2014 alle ore 10:29.

My24

b) Per l'appunto, il protagonista. Theo Decker. Sua la voce narrante che ci dà il benvenuto e non ci dà tregue per 900 pagine. Ci accoglie in una stanza d'albergo di Amsterdam, ormai alla soglia dei trent'anni: solo, vistosamente intossicato, braccato dagli sbirri e dalla malavita, desideroso di fare il punto. Qui inizia la rievocazione. La perdita della madre in un attentato terroristico, l'amore per una ragazza di nome Pippa, l'adolescenza trascorsa prima in una casa di ricconi di Park Avenue, poi a Las Vegas con il padre e la sua nuova fiamma. Infine gli anni della giovinezza, l'affermazione professionale, il matrimonio, i crimini, il delitto... Che cosa dire di Theo Decker? A prima vista può sembrare un individuo senza particolari talenti. Non che sia anafettivo, diciamo che per quanto riguarda gli affetti è piuttosto esigente. La devozione alla madre morta e l'amore non corrisposto per Pippa lo rendono guardingo. E allora perché non smetteremmo mai di ascoltarlo? Forse per il modo particolare con cui guarda gli altri. Per come li percepisce, e per come, in virtù di tale percezione, li racconta. Theo stesso si chiede: «Perché sviluppavo quel genere di curiosità morbosa nei confronti delle persone? Era normale fissarsi su un'estranea con tanta febbrile intensità? No. Non riuscivo a immaginare che un passante qualunque potesse coltivare un simile interesse nei miei confronti. (...). Ero affascinato dagli sconosciuti, volevo sapere cosa mangiavano e in quali piatti, quali film guardavano, e che musica ascoltavano, volevo frugare sotto i letti e nei loro cassetti segreti, nei comodini e dentro le tasche dei cappotti». Ecco la vera qualità di Theo Decker: una furiosa curiosità. Cesare Pavese diceva che i grandi romanzieri coltivano un «commosso e divertito stupore davanti agli esseri umani». Be', è evidente che, sebbene Theo faccia il mercante d'arte, ha la stoffa del grande romanziere.

c) È questa insaziabile curiosità a consentirgli di trasfigurare le persone che gli capitano a tiro. Sebbene Theo soffra di una certa verbosità, bisogna riconoscergli che quando deve descrivere qualcuno lo fa in modo fulmineo. Parlando di Pippa Theo dice: «E anche se era troppo magra, tutta gomiti, e in un certo senso insignificante, qualcosa in lei mi procurava una stretta allo stomaco». Sapete che cosa procura una stretta allo stomaco a me? Il dettaglio dei gomiti. Theo scrive di una ragazza «tutta gomiti» e io capisco perfettamente di cosa sta parlando, capisco a quale tipo di ragazza si riferisce. Così come capisco perfettamente di chi sta parlando quando Theo descrive Andy, il suo amico, in questi termini: «Mingherlino, intollerante al lattosio, con una pelle talmente chiara da sembrare trasparente e una naturale inclinazione a cacciar fuori parole come nocivo e ultraterreno nel bel mezzo di una normale conversazione». Questo sì che è un nerd, peraltro un nerd tenerissimo dal destino tragico e beffardo. E per fare un ultimo esempio (potrei farne un'altra dozzina) c'è la descrizione dell'attempata fidanzata del padre di Theo, l'assurda Xandra: «Tutto in lei si confondeva: la voce da whisky, le braccia muscolose, l'ideogramma tatuato sull'alluce, le lunghe unghie squadrate con le lunette dipinte di bianco, gli orecchini a forma di stella marina». Il valore di questa mirabile descrizione sta nel verbo «confondere». Tutto in Xandra si confonde. Ogni parte del corpo, ogni vezzo nel look, contribuisce a quella sensazione di aggressiva (a suo modo seducente) volgarità.

d) Ma evidentemente Donna Tartt sa che i grandi personaggi non bastano. E che, per farli muovere, occorre uno spazio altrettanto memorabile. È tipico dello scrittore imberbe ingolfare di scene il romanzo di esordio. Lo scrittore esperto ne lavora poche, curando ogni minimo dettaglio. Ho stimato (si tratta di stima approssimativa) che Il cardellino si articola in una dozzina di grandi scene. A cominciare da quella dell'attentato per finire con quella dell'omicidio. La Tartt lavora sulle location con la meticolosità di Visconti e di Kubrick. Sceglie divani, stoffe, addobbi, profumi, drink, come uno scrupoloso wedding planner. Da narratrice navigata sfrutta fino in fondo il potere evocativo dei luoghi. Gli appartamenti di Central Park West, i brownstone di Downtown, le Penthouse di Park Avenue, i sobborghi desolati e bollenti di Las Vegas, gli alberghi fané di Amsterdam sono evocati con una vividezza e una plasticità elettrizzanti. Sentite come Theo descrive la sua nuova scuola a Las Vegas: «Da lontano, il complesso cintato, composto da lunghi e bassi edifici color sabbia collegati da passaggi coperti, ricordava un carcere. Ma una volta varcato l'ingresso, i poster vivaci e i corridoi vocianti mi catapultarono indietro nel tempo, in un'atmosfera da sogno ricorrente: le scale affollate, il ronzio del neon, le aule di biologia con l'iguana in una vasca grossa come un pianoforte». Pensate a quante cose possono accadere in un posto così: amori, umiliazioni, omicidi.

e) Di solito quando inizio a lavorare a un nuovo romanzo perdo un sacco di tempo a tormentarmi alla ricerca di storie e situazioni plausibili. Inoltre non c'è evento immaginato a cui, almeno dentro di me, non tenti di dare una spiegazione razionale e storicamente verosimile. La cosa che più mi ha colpito leggendo Il cardellino è che Donna Tartt se ne infischia di certi scrupoli filistei. Il suo libro pullula di situazioni improbabili, di coincidenze ridicole, di assurde ricorrenze. La Storia (con la Esse maiuscola) non le interessa. Non c'è Bush, non c'è Obama. Molto spesso costeggia l'abisso del cliché con la destrezza dell'acrobata. È evidente che non le preme che i conti tornino. Né vuole spiegare ogni cosa. Prendiamo l'attentato. È l'evento nodale, quello che dà spessore alla storia. Il fulcro narrativo. La svolta romanzesca. Non a caso la prima parte del libro è totalmente dedicata a questo evento terribile. Eppure la Tartt non ci ragguaglia su mandanti e moventi ideologici. Theo, che di solito è così curioso e intraprendente, non presta grande attenzione agli assassini della madre. Quale parente di una vittima di un attentato non segue gli sviluppi delle indagini? Theo lascia correre. E questo invece di disturbarci, ci rilassa. Ancora una volta Donna Tartt, in bilico tra romanzo e fiaba, sceglie la fiaba. In che epoca si svolge Il cardellino? Forse oggi. O forse tra vent'anni. Forse mai. Fa lo stesso.

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi