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Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2014 alle ore 15:19.

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Quasi come nel gocciolare continuo della sabbia di una clessidra, stando alla media statistica, ogni giorno dell'anno solare vede l'apparire di un testo – libro, saggio, articolo, nota che sia – su s. Agostino, sulle sue opere e sul suo pensiero. Un piccolo mare cartaceo o virtuale che testimonia il rilievo straordinario di questo personaggio nella storia non solo della cristianità ma della stessa cultura occidentale. A livello popolare, però, il nome di questo maestro della Chiesa, nato nel 354 nell'Africa proconsolare da un padre pagano, Patrizio, e da Monica, una fervente cristiana, rimane legato alle sue Confessioni.

È una sorta di autobiografia orante, scritta appunto col "Tu" rivolto a Dio, tipico dell'invocazione, ma ibridata da riflessioni teologiche, squarciata da ampi spazi ove si respira l'aria d'altura della mistica, affacciata su inquietanti panorami esistenziali, intarsiata da speculazioni filosofiche che fioriscono dall'esegesi biblica (memorabile è il potente scavo sulla categoria "tempo", a partire dal primo versetto della Genesi, «In principio Dio creò», presente nel libro XI).

Ebbene, segnaliamo ora una nuova (ennesima) edizione di questo capolavoro agostiniano, non tanto per la qualità della traduzione: essa, infatti, è la pluriedita versione di Carlo Carena, finissimo cultore della letteratura cristiana antica e apprezzato collaboratore del nostro supplemento. L'originalità sta nel fatto che in una tasca del volume è inserito un cd che ha dato in pratica il titolo al testo: Le Confessioni. Legge Alessandro Preziosi. Infatti il quarantenne attore napoletano il cui volto domina in copertina, offre anche a coloro che forse non riuscirebbero a percorrere i tredici libri o capitoli in cui è articolata l'opera attraverso la lettura, la possibilità di un ascolto narrativo anche quando, ad esempio, stanno viaggiando su un'autostrada... Agostino, d'altronde, con la sua travagliata esperienza biografica può lasciare traccia anche sui terreni umani più accidentati e aridi, se è vero che persino una Moana Pozzi, come si racconta, negli ultimi tempi della sua pur breve vita avesse le Confessioni a portata di lettura quotidiana.

A proposito di donne, una sorta di vulgata le considera soprattutto come oggetto di strali da parte degli antichi autori cristiani. O come nel caso di Agostino – fatta eccezione per il ritratto emozionante della madre –, la presenza femminile sembrerebbe essere collocata solo all'interno di un passato "sconfessato": nel 372 il diciottenne Agostino aveva avuto un figlio, Adeodato, da una sua amante, un ragazzo che il padre portò con sé in Italia e che morì a soli 17 anni. Un'interessante raccolta di dieci saggi di altrettante studiose cerca proprio di ricostruire, liberandoli dagli stereotipi, i modelli femminili che la riflessione patristica elaborò tra il I e il VII secolo sulla base dei testi biblici. Ne risultano profili talora sorprendenti, persino nel caso di scrittori "sospetti".

Tanto per semplificare, facciamo riferimento a un personaggio come Origene (III sec.). Per molti il suo nome è legato all'autoevirazione giovanile (vera o leggendaria che sia). In realtà lo storico Eusebio di Cesarea ne offre una motivazione diversa rispetto a quella comune antifemminile o legata alla lettura letteralista di un detto metaforico di Gesù (Matteo 19,12): egli l'avrebbe compiuta solo per poter insegnare liberamente anche alle donne senza diventare oggetto di ironia da parte dei pagani. Emanuela Prinzivalli della "Sapienza" di Roma conduce nel suo saggio, presente nella raccolta, uno scavo nei testi origeniani che apre un orizzonte inatteso per cui, ad esempio, Eva si trasforma nella nostra comune identità di esseri umani decaduti, maschi e femmine, destinati però a essere redenti e riunificati nel Logos divino, l'Adamo-Cristo.

Anche Agostino è, in questi saggi, coinvolto nel discorso e lo è attraverso l'intervento di una veterana in questo genere di studi, Kari Elisabeth Børresen dell'università di Oslo che, da oltre mezzo secolo, approfondisce il rapporto tra antropologia e linguaggio teologico androcentrico. La sua analisi approda, anche con punte polemiche nei confronti dell'attuale insegnamento cattolico generale sul tema, a un recupero del vescovo di Ippona soprattutto per quanto riguarda il rigetto dell'interpretazione solo maschile dell'«immagine di Dio» nell'umanità (Genesi 1,27), per una lettura di stampo olistico, come il testo biblico suppone, a differenza della ripresa "maschilista" che ne aveva fatto l'apostolo Paolo (1Corinzi 11,7). Ferma rimane, invece, la critica della studiosa norvegese alla dottrina agostiniana della trasmissione «seminale» del peccato originale, ritenuta di matrice sessofobica e un vero e proprio «disastro teologico».
Ma lasciamo a parte, sia pure a malincuore, altri saggi anche più accurati e approfonditi di questa raccolta e riserviamo un cenno a un orizzonte più lieve e fin affascinante dell'antichità cristiana. È quello dei cosiddetti «Padri del deserto» egiziano e dei loro apoftegmi o "detti", non di rado folgoranti. Basandosi sull'edizione critica in tre volumi, curata da Jean-Claude Guy, per la famosa collana francese delle Sources Chrétiennes e apparsa tra il 1993 e il 2005, un monaco della comunità piemontese di Bose, Luigi d'Ayala Valva, presenta ora al pubblico italiano questo tesoro di 1.197 detti, talora di due righe, altre volte di una o più pagine, distribuiti in 21 capitoli tematici. Essi spaziano dalla temperanza all'umiltà, dalla fornicazione all'obbedienza, dai prodigi alla carità, dalla sopportazione al discernimento, dall'ostentazione all'obbedienza, dalla vecchiaia alla cupidigia e così via.

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