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Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2014 alle ore 08:13.

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Pochi elementi culturali dell'antichità hanno avuto così lunga e assorbente durata e influenza sulla cultura e sulla vita in Europa come la scienza medica. Ippocrate dalla Grecia del V secolo a.C., Galeno dal II secolo dell'Impero romano hanno ispirato e dominato incontrastati la loro disciplina almeno fino alla metà del secolo XVII. Né meno interessante appare il fatto che la medicina si dotò allora, usò e trasmise suoi strumenti particolari di comunicazione verbale, quasi un genere letterario, attingendo spesso l'eleganza e il sublime della letteratura. In alcune opere, in particolare di Ippocrate, la valenza artistica non è meno ricca e meno attraente di quella scientifica, certamente anche grazie al l'ispirazione filosofica; e alla soavità della lingua, e agli alti presupposti e propositi del medico-scienziato greco-romano, discepolo di una divinità.
Nel giuramento ippocratico egli prende i suoi nobili impegni nel nome di Apollo medico, di Esculapio, della dea Salute e della Guaritrice. Perché, come asserisce Celso, il medico è colui che «promette salute agli infermi» o, come spiega più finemente Ippocrate dell'arte medica, libera i malati dalla sofferenze e contiene la violenza delle malattie, senza curare chi ne è sopraffatto perché, «come sappiamo bene, questo la medicina non può farlo». Una saggezza che si ritrova ancora pari pari in età medievale nella Scuola Salernitana.
L'arte medica non è invadente e presuntuosa; anche qui il greco sa stare nei giusti limiti, dettati dalla discrezione. Il suo compito è semplicemente quello di ricostituire l'equilibrio degli umori interni infranto dalla malattia; di ristabilire un'armonia, che è il marchio supremo della felicità come lo è della bellezza e della musica. Mentre il suo metodo è nel motto: l'esperienza guidata dal ragionamento.
La squisitezza del personaggio stesso del Maestro è anche nelle notizie sulla sua vita, che se non del tutto attendibili, sembrano plausibili: come quella secondo cui avrebbe guarito il re macedone Perdicca da una grave malattia d'amore; o l'altra, che si sarebbe invece rifiutato di curare il re persiano Artaserse per ragioni etiche, che gli impedivano di porre la sua competenza al servizio di un nemico della sua nazione.
Su e da Ippocrate parte anche il breve volume, denso però di notizie e di problematiche, di Valentina Gazzaniga, docente di Storia della Medicina e Bioetica alla Sapienza di Roma: La medicina antica. Una storia appunto non lineare, come spiega l'autrice, poiché intorno a certe matrici si dispiegano variazioni e adattamenti sia delle teorie mediche sia delle pratiche terapeutiche, determinate dai luoghi, dai costumi, dalle tradizioni e dalle mutevoli circostanze di così lungo periodo. Altrettanto per la farmacopea, nella vasta area, climi e prodotti del Mediterraneo.
Tale è anche l'affermarsi e lo sviluppo degli studi anatomici già nel III secolo, e della specialistica: chirurghi, oculisti, traumatologi, veterinari, ostetriche. C'è chi ha calcolato anche i loro redditi, che, se le fonti storiche fossero certe, sarebbero in alcuni casi favolosi, sia per i medici condotti delle città sia soprattutto per gli archiatri di casa imperiale. Eppure, essi erano quasi esclusivamente stranieri, quando non schiavi e liberti. La medicina, ci dice Plinio il Vecchio, è la sola arte dei Greci che la serietà di un Romano si rifiuta di esercitare, a dispetto dei lauti guadagni che comporta. E Catone il Vecchio giunse a tarda età, lui e sua moglie, curandosi entrambi e curando prole e servitù solo con una farmacopea da lui stesso creata. Guàrdati, egli raccomandava al figlio, da questi greci, che hanno giurato di sterminare tutti gli stranieri mediante la medicina, e ciò, ricevendo anche un onorario: il giorno in cui questa nazione esporterà tutte le sue scienze, corromperà tutto quanto. E sarà anche da ricordare, per completare il quadro, che di pari passo, e poi sempre più, si afferma, nell'aforistica popolare come fra i letterati, il ridicolo, più o meno elegante, del medico, col supremo beffardo medice cura te ipsum. D'altronde anche gli antichi ebbero già i loro Dulcamara, maghi e ciarlatani ignoranti, già bollati e irrisi da Ippocrate stesso.
Ma nell'ultimo paragrafo del suo libro Valentina Gazzaniga ci descrive anche, mediante una recente scoperta archeologica (1989-1997) in una piazza di Rimini, lo studio di un medico chirurgo della prima metà del III secolo. Lì, fra grande ricchezza e varietà di barattoli e strumenti, sulla parete di una saletta un paziente ha inciso la scritta: Eutychius homo bono hic habitat. Hic sunt miseri: Qui abita Eutichio, una brava persona. Qui si ritrovano gli infelici.
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Valentina Gazzaniga, La medicina antica, Carocci editore, Roma, pagg. 176, € 13,00

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