Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2014 alle ore 08:13.

My24

Eccentrico già agli occhi dei contemporanei. Troppo ricco ed esibizionista, un dilettante di genio, difficile da collocare. Il conte della Mirandola è, a più di cinque secoli, una sorta di ospite illustre e scomodo della cultura italiana.
Lorenzo de' Medici, tra i pochissimi che riuscì a confrontarsi con lui (quasi) alla pari, lo definì «istrumento da sapere fare il male et il bene». Pico, di cui tanto si è parlato e scritto, e che ci appare ancora come un enigma. L'Orazione sulla dignità dell'uomo è considerata uno dei testi più rappresentativi del Rinascimento, ma il resto della sua opera rimane quasi inaccessibile, velato com'è da uno stile spesso sibillino e da un'erudizione lussureggiante, tanto ricca da sconcertare e intimorire.
Nel Commento sopra una canzone d'amore, scritto nel fatidico 1486, Pico dà una sorprendente definizione della bellezza: «Niuna cosa semplice può essere bella. Di che segue che in Dio non sia bellezza perché la bellezza include in sé qualche imperfezione... Dopo Lui comincia la bellezza, perché comincia la contrarietà».
Imperfezione, contrarietà, dissonanze: l'estetica pichiana è modernissima, e rivoluziona d'un tratto la lunga tradizione classica dell'armonia. Proprio Pico, che si dichiara seguace di Platone, rinuncia alla fredda perfezione del bello, per avventurarsi in un'esperienza del limite e del creaturale.
Accumulare disarmonie, vivere di contrasti, aumentare all'inverosimile la disparità delle fonti, tale è il progetto del giovane mirandolano. Se si sfogliano le 900 Conclusiones, che Pico voleva discutere a Roma, al cospetto di Innocenzo VIII, si è presi da una vertigine intellettuale. Filosofi greci, scolastici medievali, matematici, medici, maghi, astrologhi e cabbalisti: il caravanserraglio delle opinioni non potrebbe essere più variopinto e affollato. Nessuno, prima di lui, aveva raccolto un campionario di dottrine cosi eterogeneo. Il massimo della varietà è qui antefatto indispensabile all'ascesa alla verità. Con gradini presi da tutte le culture, Pico costruisce la sua scala verso il cielo. Alla sommità, oltre la soglia del dicibile, sta il Dio a cui il Conte vuole innalzarsi; non bello ma fonte di ogni bellezza, non luce ma sorgente di ogni luce.
Mito, magia, qabbalah. Già il titolo del libro è un partito preso. Il Conte si è occupato di tutto e, nelle Conclusiones, letteralmente del contrario di tutto. Il gran guazzabuglio pichiano può esser interpretato in vari modi. Come silloge scolastica, come fortezza medievale nel cuore del Rinascimento, come Wunderkammer stipata di ninnoli inservibili, come Esempio Luminoso Dello Spirito Italico, maiuscole incluse. Per ciascuna di queste prospettive, e per molte altre ancora, è disponibile un'ampia bibliografia, quasi sempre sostenuta da citazioni plausibili e da legittime sinergie con l'opera del Mirandolano.
Che poi, guardandolo da simili scorci, ci si possa davvero raccapezzare nel pensiero di Pico, è un'altra faccenda.
Questo Millennio sul conte della Mirandola nasce dalla frustrazione. Di lettori alle prese con una sconfitta bruciante. Che è quella di aver l'impressione di capire il dettaglio ma non il senso, la pagina ma non l'opera nella sua interezza. Per esplorare l'universo pichiano, ancora semisconosciuto, abbiamo scelto di segnare, innanzitutto i luoghi simbolici maggiori, le figure e le immagini che la fanno da protagonisti, così da raccogliere quasi un atlante intellettuale del tardo Quattrocento italiano.
Nell'arco del 1486, tra il fallito rapimento di Margherita bellissima e sposata - e l'andata a Roma, che si rivelerà catastrofica – Pico raccoglie tutto quel che gli cade in mano. Il suo è il tocco di Mida, il piatto vien fuori d'oro: splendido e indigesto. Alla cultura europea non basterà qualche secolo per smaltire l'eccesso di sapienza straniera ammannito dal Conte. Lo sa bene chi prova a seguire passo passo l'argomentazione pichiana, di demone in ninfa, di cabbalista in orfico. Solo raccogliere le fonti, nell'età di Google e dei cataloghi virtuali, è impresa sfinente. Il buon Pico, coi suoi manoscritti e la memoria da far rabbia, è sempre un palmo avanti.
L'altro limite è nel tema. Mito, magia, qabbalah non saziano certo l'onnivora fame pichiana. Sono però il fulcro del suo sistema. E nella scala sapienziale che lui stesso mette in bella vista nelle Conclusiones, questi tre gradini – i più alti, e uniti stretti assieme – portano dritti alla botola che dà sul cielo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
il libro a mantova
«Giovanni Pico della Mirandola. Mito, magia, qabbalah» è il titolo del Millennio Einaudi (pagg. CIV, 454, euro 80), curato da Giulio Busi e Raphael Ebgi, in libreria daL 26 agosto. Per la prima volta, il libro propone una chiave interpretativa forte del pensiero del Conte della Mirandola, e conduce il lettore alla scoperta del mondo simbolico ed esoterico del Rinascimento italiano. Gli autori discuteranno assieme a Massimo Cacciari di «Rinascimento negato» al festivaletteratura di Mantova giovedì 4 settembre presso palazzo di san Sebastiano
alle 14.45.

Commenta la notizia