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Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2014 alle ore 15:39.
L'ultima modifica è del 24 agosto 2014 alle ore 15:46.

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Domínikos Theotokópulos detto El Greco. Oggi questo nome gode di fama universale ma si tratta di una conquista postuma. Negli anni in cui visse e operò (tra il 1541 e il 1614) El Greco non conobbe il successo. Di carattere altezzoso e infiammabile, Domínikos non era un personaggio conciliante. Criticò pubblicamente Michelangelo inimicandosi la corte pontificia, e quando approdò a Toledo tentò sì di ingraziarsi i canonici della Cattedrale e il potentissimo re Filippo II di Spagna (impegnato a far decorare l'immenso Escorial), ma in entrambi i casi fu un autentico fallimento.

Guardandosi bene dall'assecondare i gusti dei committenti, El Greco impose loro un modo di dipingere complesso, sinuoso, quasi allucinato: per la sacrestia del Duomo toledano realizzò il mirabile Espolio, per l'Escorial il Martirio di San Maurizio. I quadri vennero accettati e pagati, ma né il re Filippo né i canonici della Cattedrale chiesero mai più tele importanti al pittore, segno evidente che quelle opere stilisticamente così sofisticate non erano piaciute. Il sogno di diventare «pittore del re» e di decorare tutto l'Escorial svanì subito e fu un vero peccato: immaginate che meraviglia sarebbe stato il monastero affrescato da El Greco! Il pittore rimase bloccato a Toledo e campò grazie alle committenze di conventi, parroci e intenditori locali. Per loro realizzò capolavori assoluti, si pensi solo all'Entierro del conde de Orgaz nella chiesina di San Tomé. Ma ciò non bastò ad alimentarne la fama: alla morte calò l'oblio, El Greco venne dimenticato. Ci si accorse della sua grandezza solo a partire dalla metà dell'Ottocento. Fu una riscoperta clamorosa non solo perché si comprese finalmente l'originalità del suo stile, ma ci si rese conto della sua incredibile modernità. Da pittore reietto, El Greco si trasformò in un modello da cui trarre idee, linfa e ispirazione. A lui guardarono con autentica avidità artisti come Manet, Cézanne, Picasso, Modigliani, Matisse, Duchamp, Soutine, Chagall, Kokoschka, Schiele, Beckmann, Dix, Giacometti, Pollock e Bacon. Al tema oltremodo affascinante del rapporto di El Greco con la pittura moderna è dedicata la grande mostra che il Museo del Prado ha organizzato per celebrare il quarto centenario della morte del pittore (1614-2014). La rassegna – curata da Javier Baron e sostenuta dalla Fundación BBVA – illustra con notevole chiarezza e con notevolissimi capolavori la storia del recupero di questo artista da parte di pittori, collezionisti e critici d'arte tra Otto e Novecento.

Il primo atto della riscoperta si compì al Louvre nel 1838: il re Luigi Filippo d'Orleans vi aveva fatto approntare una Galleria Spagnola esponendo nove quadri di El Greco. Théophile Gautier e Eugène Delacroix visitarono la nuova sezione e restarono colpiti dall'artista, ne parlarono e ne scrissero con entusiasmo accendendo la miccia dell'attenzione. Il passaparola fu veloce: alcuni grandi collezionisti (tra cui il re di Spagna Ferdinando VII) cominciarono a setacciare chiese e monasteri di Toledo per acquistare opere di El Greco, che in parte vennero inviate al Prado aperto da poco. Nel 1864 Édouard Manet presentò al Salon di Parigi un Cristo Morto sorretto dagli angeli (presente in mostra) e gli osservatori notarono che era stato preso di peso da El Greco. Era la verità. Manet, letteralmente rapito da questo artista misterioso, decise l'anno successivo di compiere un pellegrinaggio a Madrid e Toledo per studiare le sue opere dal vivo, seguendo le orme di scrittori e collezionisti come Théophile Gautier e William Stirling Maxwell che lo avevano preceduto di poco. Durante uno di questi pellegrinaggi spagnoli, proprio William Stirling Maxwell aveva comperato la Dama con l'ermellino, allora considerato il capolavoro di El Greco e come tale lo aveva pubblicato. Cézanne vide la riproduzione del ritratto e ne restò a sua volta folgorato, traendone la libera e poetica interpretazione che ammiriamo in mostra. Tra Otto e Novecento la Spagna si «appropriò» di El Greco facendone una sorta di eroe nazionale. Nel 1902 il Prado organizzò la prima grande mostra su di lui e nel 1908 Manuel Cossìo pubblicò il primo catalogo ragionato del pittore. A Toledo venne ritrovata (sbagliando) la casa dove si pensava El Greco fosse vissuto e avesse lavorato: venne acquisita, restaurata e riempita di opere originali del maestro. E nel 1910 venne aperta al pubblico.

Capofila di questa sorta di «El Grecomania» spagnola era stato il pittore Ignacio Zuloaga. Costui aveva acquisito nel 1905 un'impressionante tela del maestro con la Visione di San Giovanni e l'aveva collocata nel suo studio di Parigi. Picasso la vide qui e cadde ai suoi piedi. Pur avendo già citato il pittore di Toledo in dipinti e disegni (in uno di essi, presente in mostra, si legge l'entusiastica scritta «Io, El Greco!»), davanti alla Visione di San Giovanni (oggi a Washington) Picasso trasse d'impulso l'ispirazione per un quadro-cardine della storia dell'arte: le Damoiselle d'Avignon. El Greco influenzò dunque il Cubismo così come l'Espressionismo tedesco (soprattutto attraverso gli scritti di Julius Meier Graefe). Nella spettacolare sala conclusiva della mostra (da sola varrebbe un viaggio a Madrid) si tirano le fila della vicenda: sono esposti quattro strepitosi capolavori di El Greco con accanto opere moderne da essi influenzate. L'impressionante Battesimo di Cristo, che El Greco realizzò per il collegio madrileno De Aragon, esercitò potenti influssi sull'espressionismo tedesco. Volgendoci al celebre Laocoonte ci accorgiamo che l'omerica città di Troia è in realtà Toledo. E con un semplice colpo d'occhio è possibile comprendere l'enorme fascino che Toledo ha esercitato – grazie a El Greco – sulla pittura, la cultura e l'immaginario moderno. Sul terzo lato, possiamo vedere come la Visione di San Giovanni che fulminò Picasso abbia continuato a esercitare il suo potere di attrazione fino a Pollock. E infine osserviamo come la quarta colossale tela di El Greco, la Resurrezione di Cristo, abbia offerto il destro a complesse «variazioni sul tema» persino a Francis Bacon. Insomma, la mostra di Madrid ci insegna che siamo un po' tutti discepoli di El Greco.

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