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Questo articolo è stato pubblicato il 24 agosto 2014 alle ore 08:14.
C'è un filo rosso che attraversa l'entertainment americano più recente, quasi un lapsus freudiano della narrazione contemporanea: accanto a un superficiale entusiasmo per rivoluzioni tecnologiche rapidissime fa capolino il timore di non averne soppesato le conseguenze. Non è (ancora) una tecnofobia dichiarata, ma il suo rivelarsi solo a margine di opere incentrate su tutt'altri temi la rende anche più significativa.
Nel film più recente dedicatogli, L'uomo d'acciaio (di Zack Snyder, 2013), Superman affronta il nemico più pericoloso solo alla fine. Un'ovvietà? No, se si considera che la nemesi del supereroe di Krypton, il nazionalista spaziale Zod, era stata sconfitta nei minuti precedenti.
Lungi da origini fumettistiche, l'avversario supremo dell'ultra uomo cresciuto in Kansas è un drone ricognitore del l'esercito statunitense, un MQ-9 Reaper già in servizio fra i cieli di Afghanistan, Pakistan, Yemen o Somalia. Superman lo abbatte poco prima dei titoli di coda rivendicando il proprio diritto alla privacy a un generale in mimetica.
È importante notare come il film di Snyder abbia raggiunto le sale nel pieno della polemica sull'uso dei velivoli a pilotaggio remoto fuori, ma soprattutto dentro i confini statunitensi.
La sottolineatura di Snyder è, appunto, un caso fra i tanti. Se l'Übermensch con la «S» sul petto ci protegge da una tecnologia indiscreta, ben di più fa Uomo Ragno: in The Amazing Spider-Man 2 (di Marc Webb, 2014), l'american teen non solo si oppone per tutto il film al potere di Electro, nomen omen, ma a 2 minuti dalla fine affronta un Paul Giamatti in esoscheletro da combattimento. Quasi superfluo notare i titoli di coda, sovrapposti a una ragnatela – web – fatta di cavi metallici e sinapsi elettroniche.
E che dire del paladino a stelle e strisce per eccellenza, Capitan America, un eroe che al suo debutto nel 1941 prese a pugni Adolf Hitler? In The Winter Soldier (di Anthony e Joe Russo, 2014), il super soldato deve vedersela con l'ubiquità di un algoritmo capace di prevedere le minacce a un'élite tecnocratica segreta.
Difficile dire quanto Nsa, datagate e avanguardie belliche siano riferimenti voluti. Interrogarsi però è legittimo.
Lo fa Aiden Pierce, l'hacker protagonista del nuovo blockbuster videoludico di Ubisoft, Watch Dogs, giusto per rivelare una Chicago iperconnessa e dominata da spioni della rete come lui. Non si tratta solo di una nuova declinazione di quella che nel suo Lo squalo e il grattacielo (il Mulino, 2002) Francesco Dragosei chiama la «teoria dei centri concentrici», l'illusione collettiva di una minaccia esterna trasposta anche dentro il proprio corpo civile. È piuttosto, o in aggiunta, il terrore di un futuro inquietante e poco lontano; mai la fantascienza è stata così vicina alla realtà. E ovunque pare che il presente tranquillizzi poco. Tanto da diventare una prigione tecno ludica in The Edge of Tomorrow (di Doug Liman, 2014), un oggi sempre uguale a se stesso da cui si può evadere solo sacrificandosi. E non sembra un caso se nel film, per sconfiggere il nemico, Tom Cruise si spogli di gadget futuribili.
Il culmine non lo si raggiunge nella distopia nazi hi-tech di Wolfenstein: The New Order (Bethesda Softwork), reincarnazione di quel Wolf 3d da storia del videogioco, ma in Transcendence: per il regista e cosceneggiatore Wally Pfister, la singolarità è l'anticamera di un totalitarismo pervasivo in cui si scioglie l'essenza stessa dell'Individuo. Auguriamoci che per salvarsi non serva davvero un Super Uomo.
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