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Questo articolo è stato pubblicato il 26 agosto 2014 alle ore 10:20.

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Non c'è pretesa ortopedico-pedagogica, non c'è moda o ricatto intellettuale che non abbia trovato nel cinema comico il suo controcanto, spesso tutt'altro che rozzo. Qualcuno un giorno dovrà prendersi la briga di scrivere La commedia nella storia d'Italia, impiegando le categorie di Orsina. Ci saranno decine, centinaia di film da rivedere, da La patata bollente a Sai cosa faceva Stalin alle donne? a Il mistero di Bellavista. Io mi limito a prendere qualche appunto, e a ricordare per esempio che la commedia ha saputo fare il verso alla grande intossicazione maoista cogliendone tutta la stupidità catechistica – dal Ciccio Ingrassia dell'Esorciccio che libera l'indemoniata imponendole il Libretto rosso, al nipote che comunica con il cadavere della nonna tramite pensieri di Mao in To', è morta la nonna! di Monicelli. Ha opposto un salutare scetticismo ai maestri della liberazione sessuale, dal Nino Manfredi di Vedo nudo che legge Psicanalisi e politica di Marcuse ma a conti fatti si rivela impotente ai Franco e Ciccio di Mazzabubù, due antidivorzisti che ispirati da un professore libertino studiano Wilhelm Reich e, per salvare il matrimonio, decidono di scambiarsi le mogli. C'è poi la resistenza opposta alla psicanalisi – e basterà citare la scenetta della Banda del gobbo in cui Tomás Milian, nel ruolo del Monnezza, è sottoposto alla tecnica junghiana delle associazioni verbali ma rivela di avere in testa una sola parola e una sola cosa, perché a ogni sollecitazione risponde: «Fregna». E che dire poi degli ideologi, come "il professore" (Mario Carotenuto) che indica la strada della vittoria, ovviamente sbagliata, ai proletari che vogliono sbancare a carte la vecchia miliardaria in Lo scopone scientifico? Per inciso, chissà che non sia qui una delle ragioni della diffidenza. Il pedagogo in fondo è gratificato quando può specchiare nella commedia la propria posa da «straniero in patria», osservando con condiscendenza il campionario di maschere della mediocrità italiana, i Pulcinella e gli Stenterello. Può dire sospirando, con il Frassica di Il Bi e il Ba, che «il male degli italiani è l'ignorantità». Quel che accetta più a malincuore è di esser lui pure parte in commedia, magari con la maschera di Balanzone, il dotto e sproloquiante largitore di consigli inutili.

E di certo era un Balanzone, il Riccardelli con il suo «montaggio analogico». Ma era anche l'ultimo. Dopo che Fantozzi ha impugnato lo scettro del telecomando, i rapporti di forza hanno cominciato a invertirsi. Non è un caso se nella commedia degli anni successivi la satira anti-pedagogica si fa più rara, più debole ma anche più compiaciuta. La poetica dell'italiano inadeguato rispetto alle pretese ortopediche delle élite (Fantozzi ne è il campione) perde la sua ragion d'essere storica. Tutt'al più si tratterà di celebrare, un po' da maramaldi, una rivoluzione vittoriosa – in questo senso Fantozzi contro tutti non è La corazzata Potëmkin, è Ottobre di Eisenstein. Ed è così che si approda a due film in misteriosa consonanza. Li mettiamo allo specchio? C'è La grande bellezza di Sorrentino, dove lo sputo di Totò è riservato alle performer che cianciano di «vibrazioni» o alle bambine dedite all'action-painting; e c'è Sole a catinelle di Checco Zalone, dove lo stesso trattamento spetta a un regista che vuole ripetere il ciak perché, dice, sente puzza di borghesia. Forse la guerra non è finita, ma consideriamolo un armistizio.

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