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Questo articolo è stato pubblicato il 31 agosto 2014 alle ore 08:13.
L'ultima modifica è del 31 agosto 2014 alle ore 13:46.

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Quasi 250 interventi provenienti da 5 continenti. Questo il primo dato del grande convegno dei cento anni dalla morte di C.S. Peirce tenuto alla Lowell University of Massachussetts dal 16 al 19 luglio scorso. Il numero e la provenienza degli interventi sanciscono la tendenza più importante degli studi peirceani negli ultimi 25 anni, data dell'ultimo convegno mondiale, Harvard 1989. Da allora a oggi gli studi su Peirce si sono globalizzati e contaminati: gli specialisti non sono più principalmente statunitensi e, finita la fase di comprensione filologica, si cerca ora di capire in che modo e in che senso il grande filosofo americano può essere determinante per il panorama filosofico attuale. Infatti, si possono identificare finora tre epoche della ricezione di Peirce, determinata inizialmente dalla rocambolesca vicenda biografica e scientifica del filosofo, caduto dall'élite dei "bramini di Cambridge" – gli intellettuali che determinavano il panorama intellettuale degli Stati Uniti – alla nascosta esistenza del paesino di Milford Pennsylvania, dove terminò i suoi giorni in povertà e isolamento. La prima epoca è quella del recupero dei manoscritti (pubblicati in modo molto parziale e secondo un ordine tematico nei celebri Collected Papers degli anni 30) e del cercare di stabilire se si potesse trovare in quel guazzabuglio di testi editi e inediti un qualche ordine sistematico. L'impresa fu probabilmente sancita dal libro di M. Murphey (1961) e dall'inizio della riorganizzazione dei manoscritti (più di centomila pagine, la maggior parte delle quali rimane a tutt'oggi non pubblicata). La seconda epoca è stata determinata invece da grandi studiosi – tra cui è impossibile non ricordare Max Fisch – che hanno chiarito i diversi temi della filosofia peirceana, anche grazie alla lettura dei manoscritti, che nel frattempo venivano organizzati in ordine cronologico al Peirce Edition Project, la cui titanica opera di pubblicazione dei Writings of Charles Sanders Peirce è ancora in corso.
L'epoca in cui ci troviamo, si diceva, vede invece attori protagonisti da ogni parte del mondo, tesi a capire il contributo di Peirce alla filosofia attuale. I centri studi dedicati al grande pensatore americano si moltiplicano e i gruppi di studiosi italiani, finlandesi, colombiani, spagnoli, francesi, brasiliani hanno raggiunto maturità di ricerca e di espressione che nulla ha da invidiare a quella statunitense. Basti pensare all'Italia dove, dopo i validissimi studi pionieristici di Bosco, Sini ed Eco, sorgono ora il Centro Studi Peirce, l'Associazione Pragma, una collana di filosofia americana presso Aragno e la rivista internazionale «European Journal of Pragmatism and American Philosophy».
Qual è allora il contributo di Peirce per «rinvigorire la filosofia del XXI secolo», come recitava il sottotitolo del convegno? È ormai chiaro a tutti che il fondatore del pragmatismo non può essere confuso con un precursore del neo-positivismo o del razionalismo critico novecenteschi. I cardini principali del suo pensiero, dal realismo metafisico alla logica del continuo, dalla massima pragmatica intesa correttamente come chiarificazione del significato secondo i suoi «effetti concepibili» fino alla fenomenologia e alla cosmologia basate su relazioni fondamentali, sono ammesse da tutti come originali, autonome, e inscrivibili solo all'interno di una filosofia propria, né analitica né continentale: il pragmatismo.
Molto diversi, invece, i tipi di studio e gli usi che si possono fare di questi temi. Per comodità indicherei tre tendenze principali. La prima – rappresentata da Tiercelin, Haack, Hookway e, in modo più estremo, da Misak nelle sessioni plenarie – cerca di utilizzare il pragmatismo peirceano come miglioramento e compimento storiografico e filosofico della filosofia analitica servendosi soprattutto del realismo metafisico (Tiercelin e Haack) e della concezione di verità (Hookway, Misak). Questa versione tende a leggere Peirce in continuità con il kantismo. Ha il vantaggio della precisione dello stile analitico, lo svantaggio di perdere la ricchezza e la fecondità di tanti aspetti storici, semiotico-ermeneutici, esistenziali, e logici alternativi a quelli del mainstream della filosofia analitica.
Una seconda tendenza è quella che sottolinea il distacco da Kant a favore di Hegel, gli aspetti storicisti, ermeneutici, valorizzatori della tradizione e del ragionamento incarnato. Non a caso Colapietro, nella sua relazione in sessione plenaria, ha sostenuto il paragone tra Peirce e MacIntyre e ha ripreso un filone di pragmatismo e critica sociale che era stato preconizzato dagli studi di Apel e Habermas negli anni 60. È una lettura che considera l'opera del filosofo americano in modo molto più unitario, legandolo a un intero progetto pragmatista, tema e paragoni autorevolmente presentati da R.M. Calcaterra a partire dagli anni 90 e giustificato da molti passi della corrispondenza Peirce-James (Alle origini del pragmatismo, Aragno 2011). In questa tendenza includerei anche il paragone in chiave ermeneutica tra il pensiero di Peirce e quello dei grandi autori del Novecento; una lettura che annovera R. Fabbrichesi tra i più importanti rappresentanti a livello internazionale. Infine, una terza tendenza, rappresentata in sessione plenaria da Zalamea e Maddalena, legge Peirce in quanto iniziatore di una matematica e di una logica nuove che si possono derivare dai suoi studi sulla continuità, sulle caratteristiche semiotiche dei grafi esistenziali, sui tentativi – spesso fallimentari – di trovare una prova dell'innovativo ragionamento sintetico garantito dalla massima pragmatica. In quest'ottica l'analisi che si poggia sulla matematica dell'inizio del Novecento non è errata ma limitata e gli studi peirceani devono arricchirsi del paragone con la matematica post-Gödel, con la filosofia della matematica francese del Novecento, con altre discipline come la letteratura, l'arte, la psicologia e la biosemiotica.

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