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Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2014 alle ore 08:15.

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Subito un dato di cronaca, che c'entra con la musica, ma non solo: da dieci giorni è in corso MITO, il Festival che gemella Milano e Torino, e il dato nuovo, eclatante (forse pericoloso?) di questa nuova edizione è che mai si era visto tanto pubblico fermarsi a discutere dopo i concerti. Con un gelato in mano in piazza Scala, nella spaziosa agorà davanti agli Arcimboldi, sui sagrati delle chiese, nel cortile del Conservatorio: chi ha appena ascoltato si ferma per parlare, con discussioni appassionate. Al posto delle abituali corse al guardaroba o al taxi, ci si ferma. Si prende tempo, per il gusto della critica. Il segno è importante. Conferma che, dopo sette anni di semina, all'ottavo il Festival raccoglie ancora un frutto, il più prezioso.
Al top delle discussioni c'è Brahms. Perché «Aimez-vous Brahms?» è il motto del programma e su quel punto di domanda si scatenano comizi. Non sul tasso di amore – chi non ama Brahms? – bensì sulle diverse interpretazioni delle Sinfonie. Terza e Quarta sono sui leggii della Budapest Festival Orchestra con Ivan Fischer, la Seconda spetta alla Filarmonica di San Pietroburgo con Temirkanov. Dovendo scegliere chi portare sulla fatidica isola deserta, scegliamo Temirkanov. Ma con qualche rimpianto. E visto che la musica è bella proprio perché va ogni volta reinterpretata, e uguale non sarà mai, come la vita, nel bottino di MITO li prendiamo a pari merito tutte e due.
L'aspetto fondamentale, che segna il carattere di questi due Brahms, è che in entrambi la partenza viene da testa, braccio, cuore dei direttori. Perché sono loro il punto di riferimento stabile, perenne, tangibile dell'orchestra. Da noi non usa più questo rapporto costante, tranne che a Santa Cecilia. Coi risultati che si vedono. Fischer, che non è così popolare come l'ormai divo seduttore Temirkanov (e MITO preveggente se lo è prenotato «in residence» per i prossimi anni, e aprirà l'edizione Expo 2015) è un finissimo concertatore, dirige per e sull'orchestra, con una corrispondenza millimetrica tra gesto e risultati. Chiede un Brahms di campagna: pastello, un po' ruvido e molto di portamenti e languori. Temirkanov, con quella sua fisicità idiomatica, tutta sua, vuole una Seconda da grande metropoli, densa e piena, scura, a pennellate grasse di archi, come sanno solo a Pietroburgo. Questa volta ci colpisce per la capacità di trasformare in pochi attimi la materia gravida, lussureggiante, in folate impalpabili, profumi evanescenti, nuvole di suoni che spariscono volando. Fantastico.
Speciali anche i bis: per Budapest una Serenata a quattro voci di Brahms, cantata (e come cantata!) da tutta l'orchestra; per Pietroburgo accanto al consueto Salut d'amour di Elgar, un Tango in punta di piedi di Albeniz, orchestrato da Schedrin. Da restare lì, ad ascoltarli all'infinito.
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Sinfonie nn.2,3,4 di Johannes Brahms; Budapest Festival Orchestra, direttore Ivan Fischer; Filarmonica di San Pietroburgo, direttore Yuri Temirkanov; Milano, MITO

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