Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2014 alle ore 08:15.

My24

L'ambizioso conduttore di un popolare blog audio si mette in viaggio per il Canada per intervistare l'adolescente che nel video Kill Bill Kid si è involontariamente tagliato una gamba con la katana. Una volta là, decide di salire verso Winnipeg, in cerca di qualche buona storia strampalata. Non ci crede molto nemmeno lui, e infatti dice al telefono a un amico: «Non c'è niente di stravagante in Canada. È solo tutto mortalmente noioso!». Naturalmente sarà costretto a cambiare idea, dopo l'incontro con un vecchio marinaio affabulatore e minaccioso, che lo trasformerà radicalmente (e orribilmente). È solo una delle tante battute sui canadesi di Tusk, bizzarro mix di horror e commedia firmato dall'americano Kevin Smith (famoso soprattutto per la sua opera prima, Clerks), presentato in una delle sezioni più divertenti del Festival di Toronto (che si chiude oggi), Midnight Madness che, come spiega il catalogo, propone «the wild side», il meglio di «action, horror, shock and fantasy cinema», e scova ogni anno eccentricità da tutto il mondo.
La stessa presenza di Tusk smentisce la frase sulla noia canadese: in realtà, la città che ospita il festival è, oltre che civilissima, culturalmente molto viva, il suo pubblico (per lo più pagante) ha tanto entusiasmo e passione da prendersi le ferie per partecipare alla maratona cinematografica e, in più, la pazienza di affrontare code che paiono infinite (ma che invece scorrono velocissime), i suoi volontari (2.800) sono impeccabili ed educati, l'atmosfera del suo festival molto meno nevrotica e sovreccitata che non quella di altre competizioni internazionali di pari grandezza.
Arrivato alla 39ª edizione e ormai ampiamente accreditato come uno dei quattro o cinque festival più importanti del mondo, il Toronto International Film Festival sembra ancora fatto da persone che, nonostante la fatica di selezionare quasi trecentocinquanta film e di far marciare per dieci giorni più di trenta sale (più di 10mila i posti), ancora si divertono a farlo e che hanno un grande rispetto per il pubblico (enorme) al quale si rivolgono.
Sarà forse perché è un festival non competitivo (quattro premi, al miglior film, migliore opera prima e miglior cortometraggio canadesi e al miglior cortometraggio internazionale, che testimoniano il forte sostegno alla produzione nazionale e agli esordienti), ma qui anche le star e gli addetti ai lavori sembrano più rilassati che altrove e si mescolano con il pubblico (un aficionado del Tiff è per esempio Brian De Palma, che ogni anno si accredita e segue le proiezioni Press&Industry). Ma la carta vincente del festival è certamente quella vocazione «onnivora» che consente a ogni spettatore di tracciare i propri percorsi, passando da un Gala Screeening pieno di star, come The Judge di David Dobkin, irrisolto mélo familiar-giudiziario, con Robert Downey jr e Robert Duvall, o Ruth & Alex di Richard Loncraine, bella commedia matrimoniale con Diane Keaton e Morgan Freeman, a qualche disturbante scoperta di Vanguard, come il thriller spagnolo Musaranas di Juanfer Andrés e Estebann Roel, il durissimo noir britannico Hyena di Gerard Johnson o l'intrigante rielaborazione del mélo erotico al femminile del musicista e regista Peter Strickland (The Duke of Burgundy, dal nome di una rara farfalla).
Oppure godersi la grande annata del cinema francese, con le raffinate commedie di François Ozon (Une nouvelle amie, da Ruth Rendell) e Anne Fontaine (Gemma Bovery, ispirato a Flaubert), con il bellissimo Eden, immersione totale negli anni Novanta della garage music, di Mia Hansen Love, e lo scatenato polar La French di Cédric Jimenez (quasi uno spin-off di Il braccio violento della legge di Friedkin); e poi immergersi nella ragnatela tessuta dal tedesco Christian Petzold con il nero melodramma Phoenix, o nell'ostinato vitalismo del geniale Stephen Hawking, del quale l'inglese James Marsh racconta la storia in The Theory of Everything, tagliente come il suo protagonista. Naturalmente, la parte del leone la fa come sempre il cinema statunitense, presente con un'ampia selezione dei più interessanti indipendenti di media grandezza dell'anno: noir inquietanti come Nightcrawler di Dan Gilroy, biopic musicali come Love & Mercy di Bill Pohland, che traccia una parte della storia di Brian Wilson, il solista dei Beach Boys, e soprattutto commedie acide, malinconiche e irresistibili come While We're Young di Noah Baumbach, con Ben Stiller e Naomi Watts, Welcome to Me di Shira Piven, cucita addosso alla disarmante Kristen Wiig, o Infinitely Polar Bear di Maya Forbes, storia di un padre pazzo e molto affettuoso interpretato da Mark Ruffalo. Un'immersione totale, insomma, che fa pensare che il cinema (anche in sala) sia tutt'altro che morto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenta la notizia

Ultimi di sezione

Shopping24

Dai nostri archivi