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Questo articolo è stato pubblicato il 18 settembre 2014 alle ore 13:51.
L'ultima modifica è del 18 settembre 2014 alle ore 14:28.

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Un ragazzo d'oroUn ragazzo d'oro

Il cinema italiano è il grande protagonista del weekend nelle sale: questo fine settimana, arrivano una serie di pellicole di casa nostra pronte a sfidare l'innocuo blockbuster «Tartarughe Ninja» di Jonathan Liebesman.
Il film più interessante e riuscito è, indubbiamente, «Anime nere» di Francesco Munzi, presentato in concorso all'ultima Mostra di Venezia. Storia di tre fratelli calabresi che hanno scelto strade diverse nella vita: il primo è un piccolo boss del narcotraffico; il secondo gestisce traffici illeciti al Nord; il terzo vive onestamente facendo il pastore.
Alla sua terza pellicola (dopo «Saimir» e «Il resto della notte»), Munzi ha realizzato l'opera della sua maturità: una sceneggiatura cupa e lontana dalla retorica di molti lungometraggi italiani dello stesso tipo, è la base di un prodotto coraggioso con al centro un forte dilemma morale.

Il regista gira con mano sicura, colpisce a fondo soprattutto nella prima parte della pellicola quando si delineano le diverse psicologie dei tre fratelli. Se col passare dei minuti c'è qualche scena eccessivamente didascalica, «Anime nere» riesce comunque a mantenersi efficace e coinvolgente per tutta la sua durata, anche grazie alle interpretazioni di un cast, complessivamente, in buona forma.

Una segnalazione positiva anche per «Se chiudo gli occhi non sono più qui» di Vittorio Moroni. La trama ruota attorno a un adolescente con una forte passione per l'astronomia, che vive con la madre filippina e il nuovo compagno di lei, con cui ha un rapporto tutt'altro che semplice. Tipico racconto di formazione, «Se chiudo gli occhi non sono più qui» dimostra nuovamente il buon talento di Moroni («Le ferie di Licu», «Eva e Adamo») che tratta con grande delicatezza una materia complicata e ricca di spunti d'interesse.
La crisi economica fa da sfondo a una riflessione sulle relazioni familiari e sull'integrazione culturale: gli ingredienti sono tanti ma il regista sa come dosarli e il risultato è un (piccolo) film intenso ed emozionante.

Decisamente deludente è, invece, «Un ragazzo d'oro», il nuovo lungometraggio di Pupi Avati con protagonista Riccardo Scamarcio. L'attore interpreta Davide Bias, un creativo pubblicitario perennemente insoddisfatto della sua vita e costantemente in preda all'ansia. Quando suo padre, sceneggiatore di film di serie B, muore improvvisamente, Davide si trasferisce da Milano a Roma dove incontra un'editrice (Sharon Stone), interessata a pubblicare un libro autobiografico che suo padre aveva intenzione di scrivere.
Dopo il pessimo «Il cuore grande delle ragazze» (2011), Avati torna a lavorare per il grande schermo e fatica a dare il giusto spessore alle sue riflessioni.
Il tormentato rapporto padre-figlio è trattato banalmente, così come poco convincenti sono le interpretazioni di un cast sottotono. Il copione non riesce mai a coinvolgere come dovrebbe e si assiste soprattutto a un'occasione mancata, che lascia l'amaro in bocca.
Infine, una menzione negativa per «Tartarughe Ninja» di Jonathan Liebesman: un prodotto fracassone e sopra le righe, che potrebbe divertire i fan accaniti del brand creato negli anni '80 (tra fumetti e serie tv animate), ma che annoierà tutti gli altri.

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